domenica 16 settembre 2012

Meditazioni autunnali e altre poesie




I. LA PRIMA POESIA


UNA CROCE DI LEGNO

Una croce di legno.
Un po' di terra smossa.
Non un fiore,
non un pianto,
solo qualche sguardo fugace.
Questo è il timbro
dei dimenticati.




II. RICORDI DI ESTATI LONTANE


1

Ricordo di un tempo lontano
nella dolce terra d'infanzia.
Il sole era pieno di rondini
che il cielo accoglieva
più vivo della luce divina.
L'alba nasceva meravigliata
di trovare la strada dei giuochi,
l'orologio segnava ore sognate
nel calore dei cortili e dei campi.
Dove sei?
Io ti cerco e ti trovo lontana,
in un paradiso abbandonato
nel tempo dei giardini fioriti.
Tutto quello che ho avuto
ho perduto.


2

Sonni pomeridiani
rifiutati con cruccio
per cercare
avventure impreviste
lungo le strade
vuote di gente,
piene di caldo
e di gioia infinita.
Quando era facile
la vita di tutti i giorni
e bastava un fuscello
per la felicità.
 

3

Quelle bolle di sapone
dal balcone di casa
volavano chissà dove
così come la fantasia
di un bambino lontano
che possedeva la felicità.
Nel cielo meraviglioso
le bolle salivano
parlando di favole vere,
di mondi semplici
che esistevano soltanto
nella mente libera e pura.
Sembra un sogno il ricordo
di una sera al balcone
con le bolle di sapone.


4

Le canzoni alla radio
ascoltavi con fervore
in un luglio recondito e magnifico.
La musica entrava
nella memoria ansiosa
di vita sconosciuta.
Le biciclette correvano
su strade polverose
portandosi via
la fanciullezza rimpianta.
Arriva il tempo
dell'adolescenza pensosa,
timidamente vedi comparire
le prime tristezze
nel chiuso di una stanza.
Ma io penso
ai motivi d'amore
che scandivano
i giorni sereni
di un'estate perduta
nel tempo.
 

5

Torna settembre
recando malinconica bellezza
e tornano
le spiagge deserte
dell'Adriatico.
Stanza d'albergo
angolo di sogni
di visioni
di lune sul mare
di chiarori
di paesaggi quieti
e sereni.
Stasera il vento si alza
e avverte con i nuvoloni
la fine di un'estate
trascorsa come le altre
in un cauto esistere disilluso
e solitario.




III. MEDITAZIONI


1

Voi che siete già partiti
per un viaggio dal quale
nessuno è più tornato,
dove siete?
è possibile che in qualche modo
possiate essere ancora vivi?
che il vostro vivere
il vostro morire
abbiano un senso, un riscatto?
Il silenzio, solo il silenzio
domina la scena del mondo.
Non ci sono risposte
né mai ci saranno.
Il gorgo inghiottirà chiunque
e mai sapremo il motivo
del nostro esistere.



2

La luce scema lentamente,
presto è sera
e un altro giorno se n'è andato
per sempre;
né mai tornerà.
Il tempo passa quasi
impercettibilmente
e ciò che appariva come
un'eternità
si sgretola inesorabilmente:
diviene polvere.



3

Tornare sui banchi di scuola
a recitar preghiere che dicano:
«Padre nostro che sei nei cieli...»
Ritrovare le illusioni,
le speranze
e i sogni
di un'età lontana.
Ora che l'anima
appare disseccata
come una zolla
d'argilla.



4

Quando superi la boa
il confine il limite
della mezza età
ti accorgi che la vita
non ti offrirà più
di quello (poco o molto)
che ti ha già dato.
Eppure prosegui il cammino
con l'inconscia speranza
di trovare qualcosa
lungo il resto della strada:
un tesoro,
una chimera,
un'illusione,
una passione,
un ideale,
qualcosa d'imprevisto
e di meraviglioso.
Ma dentro di te
già avverti una voce
che sembra dirti:
«Quel che doveva essere
è stato...
Ora è giunto il tuo autunno,
sei quasi vecchio,
rassegnati».





IV. IN PROSA


1. A RITROSO

Felicità spensierata dell'età infantile, da quanto tempo ti ho perduto! Io ormai non vivo che del tuo ricordo non ancora sbiadito ma vivo, vivissimo...
Si correva sui campi di terra per calciare un pallone, tutto il mondo era nel sole, nelle rondini, nei giochi antichi. Tempi miei, dove siete andati, in quale mondo io vi vedo attraverso occhi già stanchi, senza speranza...
Unica e vera vita mia, sei il cielo azzurro dove appare un ramo fiorito di primavera. Sei il vento che porta le foglie morte, la pioggia fresca che sa di terra.
Ogni giorno io torno nel paese che non tornerà.



2. IMMAGINI

...Ecco ora io dico quello che sento e non è niente di concreto, è il vento che muove le foglie degli alberi, la nuvola che passa, il buio della notte, un rumore indefinito. La mente vola tra i colori: rosso, bianco, viola, lilla, verde... La ragione non esiste più, ha perso, è una macchia in terra e il cavallo ha ali bianche, si dirige verso il sole che lo acceca, ma lui sa che non può tornare indietro.



3. QUELLO DI CUI PARLO

Quello di cui parlo è un mondo lontano lontano, difficile da raggiungere: laggiù ascolti le campane celesti e rimani estasiato; laggiù osservi la grigia pioggia con malinconia; laggiù senti nell'aria profumi dolcissimi, e respiri la luce; laggiù parli con i cari morti, quanti che non hai più visto!; laggiù ti accorgi di aver ritrovato qualcosa che avevi perduto per sempre, e mai pensavi che ciò accadesse; laggiù ti incammini in un sentiero erboso, vai e vai, poi ti fermi e ti siedi a parlare con gli amici cantori. Laggiù non ci sono mostri, non c'è il dolore né la guerra e nemmeno la morte.
Laggiù, in questo mondo così lontano...



4. FOLA

In una notte di luna nuova, sulla torre alta alta del castello antico, comparve una donna di nero vestita, il suo viso era orribile, bianco, di cera; qualcuno la vide e, terrorizzato, immediatamente urlò, ma la donna subitamente scomparve; l'unico testimone raccontò a tutti della sua spaventosa visione ma non fu creduto, così, dopo venti lunghi anni di pazzia, morì disperato. L'alba del giorno dopo c'era una nebbia fitta fitta, la figura dal volto cereo ricomparve sulla torre del castello antico; chi la vide non ne fece più menzione.



5. CHI CHIUDE IL CONTO

Chi chiude il conto fa un bilancio, arriva ad una conclusione definitiva. Chi chiude il conto fa testamento.
Sì, la vita gli arrise nei primi anni di vita (quei tempi!...) Ma ora sono seppelliti, anche se gli rimangono i ricordi, che valgono quel che valgono.
Pure è bello per chi non ha più nulla oltre a quelli, tornare con la mente ai tempi andati; ripensare a quei giorni incredibili, ai giochi, al mondo fantastico che non esisteva ma che era possibile creare, era vero perchè la mente diceva così.
La fantasia dei bambini è una cosa imparagonabile, è nell'infanzia che nascono questi mondi impossibili, bellissimi, reali, che si sgretolano a poco a poco mentre si cresce, fino a scomparire completamente con l'arrivo della piena maturità.
Ci si accorge che gli occhi di oggi non sono più quelli di ieri; infatti non solo il corpo si deteriora col tempo, ma anche la fantasia e la purezza, la meraviglia e la scoperta. Ci si ritrova vuoti, qualunque spettacolo, perfino quelli della natura, lasciano gli occhi quasi indifferenti, alla ricerca di quelle emozioni provate tanto tempo addietro, che ora sono impraticabili: è la completa aridità, spirituale e materiale.
Chi chiude il conto sa che non si può aspettare nulla dal futuro, che quello che è stato è perso per sempre, che quello che è non vale nulla.
L'entusiasmo è una delle prime cose che se ne vanno, ed è anche la prima tappa verso la completa aridità. Non si è più attratti da alcuna cosa, anche ciò che era semplice, banale e magari insignificante, una volta scatenava nella mente mille attrattive, era la forza della vita che dentro lavorava per dirci: «Guarda quante cose belle! Quanti anni hai ancora davanti a te, quante sorperese la tua esistenza ti presenterà, vivere è una cosa stupenda!». Ora le cose non stanno più così.
Chi chiude il conto ha la netta sensazione che ormai la vita non possa riservare nulla di buono, anzi, che soltanto la morte può risolvere tutti i problemi accumulatisi col tempo. Si finisce per attendere soltanto la chiusura del conto.
Pure l'adolescenza, fase della vita transitoria e problematica, ha le sue attrattive; ancora è possibile sognare, come nell'infanzia, è possibile immaginare che l'amore esista veramente, che sia un sentimento sincero, puro e divino; è ancora troppo presto per le disillusioni, ma già si ha la percezione di aver perso qualche cosa d'importante, che non tornerà mai più, ed è la fantasia del bambino.
Chi chiude il conto medita sulle tappe della sua vita, e si rende conto che gli anni passati somigliano ad un fiumiciattolo le cui acque, scorrendo, diminuiscono sempre più, fino a che il corso d'acqua si estingue e rimane solo un solco arido. Sì, il percorso della vita è sempre in perdita graduale.
Tristi anni della gioventù, eppure anche quegli anni, seppur grami, nei ricordi sembrano belli, probabilmente perchè nutriti ancora di speranze, visto che la vita si immagina ancora lunga e un ottimismo inconscio spinge a pensare che il futuro sarà migliore. Così non è stato.
Chi chiude il conto non ha grandi rimpianti per la giovinezza, il periodo che spesso l'umanità rimpiange maggiormente, quello del grande amore, dei grandi ideali e del vigore e della forza alla sua massima espansione. Addio gioventù, non sei esistita mai e mai esisterai più.
Si arriva alla mezza età e ancora, magari, si spera in chissà cosa, ma ora è evidente che la vita non potrà riservare più sorprese inimmaginabili; quello che doveva accadere è accaduto, non altro ci sarà di sconvolgente; semmai, se si analizza la situazione, si comincia a provare un dolore profondo, perchè le perdite divengono pesantissime: la morte si è portata via persone care che non torneranno mai più!
Chi chiude il conto non spera di ritrovare gli affetti perduti, non crede che potrà vivere in un ipotetico al di là; queste speranze sono già cadute da molto tempo, il periodo delle favole è finito: davanti agli occhi c'è solo la cruda, dura e triste realtà. Dopo la morte non c'è nulla.
Ma la morte è un pensiero ricorrente in chi, superata la mezza età, vede appropinquarsi la vecchiaia. Spesso capita di pensare: «meglio morire prima di diventare vecchi». Il fatto è che noi siamo stati programmati per vivere e non per morire, per questo si va avanti, si prosegue una strada già tracciata, che hanno già percorso quelli che ci hanno preceduto, e tutti (escluso nessuno), alla fine della strada si sono trovati davanti ad un burrone; anche se preferivano tornare indietro hanno dovuto proseguire...
Chi chiude il conto non vuole giungere al burrone, pensa che non ci sia alcuna ragione per arrivare fino a lì. Stanco ormai del percorso già fatto, non spende altre forze per andare avanti. Chiude il conto.





V. MOMENTI


1

Piccola stazione di un paese
qualunque, con due binari e un terzo
staccato, abbandonato.
Si cammina lentamente sui sassolini
del terreno e si ascolta il dolce
rumore dei passi.
Ci si siede su una vecchia panchina
verniciata da poco con un verde
intenso e si guarda il paesaggio.
Davanti c'è un'altra panchina
con un altro signore seduto,
in attesa del treno che arriverà.
Più lontano lontano c' è un campo
giallo con degli uccelli che vi sostano
e poi volano via.
Si sente il rumore delle cicale e
null'altro.
È un quieto pomeriggio di settembre,
l'aria è ferma,
Il treno fra dieci minuti
passerà...



2

Passeggiare sulla spiaggia
del litorale
in una grigia giornata
di fine ottobre.
Osservare i gabbiani che cercano il cibo,
guardare le onde del mare
che lentamente s'infrangono
a riva;
cercare l'orizzonte lontano...
meravigliarsi delle impronte
lasciate dai passi sulla sabbia,
rattristarsi alla visione
di detriti sparsi lasciati dal mare.
Respirare l'odore di salsedine,
immergersi nell'aspetto più languido
e affascinante dell'autunno.
Andare...  



3

Ricordo di un giorno d'estate.
Svegliarsi poco prima dell'alba e osservare attraverso le persiane la nascita di un nuovo giorno.
Alzarsi felici pensando alle ore future come si pensa ad un paradiso in Terra.
Uscire sull'amato cortile e passare tutto il tempo a giocare.
Sapersi divertire con poco, con nulla: magia e incanto dell'età infantile.
Sentirsi chiamare e rientrare in casa delusi, consumare il pasto velocemente, desiderosi di tornare a giocare.
Trascorrere il pomeriggio assolato su strade deserte e invitanti, inventando fantasiose avventure.
Rincasare, arrivata la sera, con una tristezza indefinibile, pensare al giorno seguente.
Una giornata d'oro è terminata ma un'altra uguale ci attende.
Così è stato in un tempo e in un luogo al di fuori della realtà eppure reale.



4

Pensieroso, insoddisfatto
vagavo nelle viùcole
della città eterna
in cerca di vecchi volumi,
di parole scolpite
e misteriose.
Il mite pomeriggio invernale
pian piano moriva
lasciando alla sera
gelida e triste
l'ingrato compito
di uccidere il giorno.



5

Autunno glorioso
che ci regali, oh Roma,
antichissima, meravigliosa città
che offri agli occhi estasiati
dei tuoi ammiratori
una moltitudine di strade
alberate, le tue mura
battute dal sole pomeridiano,
le tue mille chiese nascoste,
le tue invitanti fontane;
e il tuo immenso cielo
che fa da sfondo
ad uno spettacolo ineguagliabile:
Quid melius Roma?



6

Ricordi quel giorno
che noi ci vedemmo
in quella piazzetta
svuotata dal caldo
tremendo d'agosto;
ricordi i piccioni
volare d'intorno
e gli alberi alti,
le foglie cadute
già in terra;
ricordi le risa
e il sole sui tetti
che illuminava
le anime nostre;
ricordi le fonti
cercate tra i vicoli,
quell'acqua purissima
nelle nostre mani.
Dove sei andata,
in quale punto,
luogo della Terra
ora vivi e pensi?
Ricordi ancora
i nostri giorni
distanti, sognanti
vissuti per caso
sommersi oramai
dal tempo spietato?
Io ancora ti vedo
ti cerco nel fondo
del cuore ormai stanco
e penso quel tempo
di fuori dal tempo.
Ci ritroveremo...
...
Tu scenderai le scale
di Trinità dei Monti;
io ti verrò incontro
e ci sembrerà
di non esserci
mai separati...



7

E ritorna novembre
coi suoi santi ed i suoi morti,
con la sua mite estate
di San Martino,
con le sue foglie secche
sparse sul terreno,
con le sue piogge
sempre più fitte,
con le sue notti
fredde e lunghe,
con la sua aria di tristezza,
col suo messaggio che ammonisce:
«Un altro anno
sta per finire,
preparati
a morire».



8

È una gelida sera decembrina
ed io ritorno alla mia casa
in questo treno colmo di gente
e vuoto di felicità.
È finita un'altra giornata,
se ne è volata via
senza colpo ferire,
tra un nulla ed un altro
nulla, tra un viaggio di andata
e ritorno, tra un'alba
e un tramonto.
E la vita piano piano
ci lascia, se ne va
lentissimamente;
e si va avanti
solo perché si deve,
solo per necessità.
Una giornata è finita
e un'altra comincerà.




VI. MONDI E FIGURE


1. SPAVENTAPASSERI

Un signore di paglia
che indossa vestiti
poveri, vecchi e brutti
è in mezzo ad un campo.
Non dice parole,
non piange e non ride,
è sempre all'impiedi
e non dorme mai.
Ha le braccia aperte
ogni notte e ogni dì,
guarda sempre davanti
l'orizzonte lontano.
Gli uccelli temendolo
distanti si aggirano
da quello stranissimo
orribil tipaccio.
Ma poi piano piano
si fanno coraggio
giungendo a due passi
dal mite spauracchio.
Poi il più coraggioso
gli vola sul capo
posandosi proprio
sul suo cappellaccio;
nessuna reazione
quel losco figuro,
quel tristo individuo
si prova a mostrare.
Allora altri uccelli
trovato il coraggio
raggiungono il primo
spavaldo compagno.
E in pochi minuti
quel bravo guardiano
si trova coperto
da cento animali,
ben presto per questo
sarà eliminato,
avendo fallito
la grande missione
cui egli, paziente,
serioso e preciso
si è dedicato
con tutte le forze.
Ma, ahimè, tutto ciò
a nulla gli valse
e infin, tristemente
sparire dovrà.



2. LOTTERIA ISTANTANEA

Su strade e su piazze
d'immense città
o di qualsivoglia
paese sperduto,
vi son dei negozi
che vendon cartelle
assai somiglianti
a quelle di un gioco
di moda a Natale;
codeste piccine
dipinte cartelle
nascondon dei numeri
che posson cambiare
la vita alla gente!
Per questo migliaia
e migliaia di umani
si recan nei luoghi
preposti alla vendita
di queste preziose
ambite cartelle;
e quindi, eccitati,
curiosi ed attenti,
cancellan lo strato
che cela quei numeri
così fortunati
da far impazzire
di felicità.
E mentre s'impegnan
in simil lavoro
già sognano viaggi,
palazzi, automobili
e donne bellissime
e tante altre cose
che andranno deluse;
perchè quei diabolici
foglietti attraenti
non faranno vincere
mai niente a nessuno,
son soltanto utili
a chi furbo assai
fa i soldi coi sogni
dei poveri illusi.



3. CAOS QUOTIDIANO

Si è risvegliata
la città degli automi.
Eccoli vagare per le strade
nei loro veicoli assurdi;
chi impaziente
di raggiungere il suo posto,
chi senza méta,
chi col cervello
ormai devastato,
chi ansioso,
chi rabbioso,
chi timoroso,
chi eccitato.
Eccoli i mostri
del nostro triste tempo,
gli ingranaggi del meccanismo
perverso, crudele e senza vita
della nostra unica esistenza.




VII. CARI RICORDI


1

Caro, vecchio borgo
fatto di antiche case,
di piazze fuori dal mondo
e fuori dal tempo:
sei rimasto intatto,
non ti ha mutato
l'avanzare smodato
del nostro tempo
irrispettoso
distruttore di bellezza.
Ti guardo come se vivessi
in un'altra era
e mi rimani nel punto
più recondito del cuore.
Caro, vecchio borgo
fatto di vita vera.



2

Prato verde e giallo:
un fazzoletto di terra
riempito da erbe infestanti,
da sassi e fiorellini:
eri il luogo dei cari giochi,
si rincorreva un pallone
per calciarlo nella rete immaginaria
ed esultare
come facevano i vecchi campioni.
Oggi sei divenuto un parcheggio,
sono scomparsi i bambini chiassosi
che ti calpestavano
quasi ogni giorno.
È estinta la felicità,
la spensieratezza
e l'inconsapevolezza:
sei soltanto un povero
arido spazio occupato
dalle automobili.



3

E come potrei dimenticarti
piccola chiesa
in cui andavo nei mattini
domenicali
ad ascoltare la messa.
Ricordo il crocifisso
che mi riempiva l'animo
di angoscia;
ricordo le candele,
l'odore d'incenso
e l'altare.
Luogo semibuio
della fede perduta,
ascoltavo e recitavo
preghiere
che non ricordo più...



4

Pomeriggi invernali
della mia adolescenza
trascorsi davanti
al camino acceso
leggendo attentamente
la Divina Commedia.
Per la prima volta
cercavo di comprendere
quel poema sconosciuto
per me, di cui qualcosa
mi aveva accennato
mia madre;
ne rimanevo a volte
sorpreso e a volte entusiasta.
Ma la cosa più bella
di quei pomeriggi
non era il libro
di Dante Alighieri,
ma quel focolare
che emanava un calore 
eccezionale;
che sapeva scaldarmi,
che riusciva
ad allontanare da me
il freddo intenso
di quel lontanissimo
inverno.




VIII. DIETRO L'ANGOLO LA TRAGEDIA


1

Dove sono tutti i bambini
che giocavano?
Dov'è il campo di calcio?
Perfino le rondini sono sparite.
Trovo luoghi abbandonati,
desolati, vuoti, degradati.
L'erba cresce ovunque,
copre anche i migliori ricordi.
Non resta che andarsene,
non resta che andare a ritroso
e vivere di soli sogni.





Sempre più spesso il pensiero della morte si affaccia in me. Come sono lontani i tempi spensierati, quando il più grande problema era la noia. A mano a mano che la vita avanza, i problemi si accavallano, l'esistenza diviene una specie di battaglia e non si provano più emozioni di qualunque tipo. L'entusiasmo per qualsiasi cosa viene meno, i giorni sembrano tutti uguali, si vive come dei robot: programmati per andare avanti fino all'esaurimento dell'energia vitale. Forse penso troppe volte alle persone che non sono più, che mai più torneranno: un numero sempre in crescita. Trovo un po' di sollievo soltanto nei cari ricordi.





Sto in una città che va alla deriva
così come la nazione,
così come il continente,
così come il pianeta.
Ascolto notizie di sfaceli economici,
di sfaceli naturali,
di sfaceli mentali.
L'egoismo dilaga,
il menefreghismo domina,
lo sfruttamento è norma,
l'invidia è legge,
l'odio straborda.
Questa bella società
creata da noi e soprattutto
dai potenti del mondo
è qualcosa di mostruoso.
Beato chi crede nel futuro.





E un giorno partire
per scomparire per sempre.
Preparare velocemente una valigia,
lavarsi, chiudere a chiave la porta,
dire addio a tutto.
Giungere in un luogo molto tranquillo:
occupare una stanza di un albergo,
distendersi sul letto a meditare.
Pensare: «Rimarrò qui una settimana»
«La settimana più bella della mia vita»
«L'ultima settimana della mia vita».
Godere di ogni secondo, ogni minuto, ogni ora...
Fare lunghe passeggiate,
pensare ai giorni più belli,
alle persone più belle.
Quindi salutare il mondo.





Lo hanno trovato in cucina, il decesso dovrebbe essere avvenuto ben due anni fa. Hanno forzato la porta d'ingresso in seguito alla denuncia di scomparsa fatta da un suo conoscente, che non riusciva ad avere alcun contatto con lui da molto tempo. Dicono che il corpo fosse in posizione supina, la bocca spalancata, una mano sulla pancia. Aveva interrotto già da anni qualsiasi relazione, non voleva vedere più nessuno: viveva in completa solitudine. Ultimamente, prima di scomparire, era diventato un vero orso: non rispondeva più a chiunque gli si rivolgesse. Qualcuno ha detto di averlo visto in giro per la città con lo sguardo assente. Qualcuno dice che si limitasse a uscire per le commissioni necessarie: fare la spesa, pagare le bollette ecc. La cosa che tutti ritengono strana, è l'assenza di cattivo odore nei pressi del suo appartamento.





E anche lui se n'è andato... Come fosse diventato un barbone non è cosa certa: probabilmente è stata determinante la perdita del lavoro, che ha causato in lui una profonda e inguaribile depressione; pare che comunque abbia fatto qualche tentativo per tornare a lavorare, ma non è andato a buon fine. Col tempo è stato costretto ad abbandonare la casa dove viveva e si è ritrovato per strada. Sembra che fosse un barbone sui generis visto che non beveva, non fumava e cercava, per quanto possibile, di mantenere un minimo di dignità umana. Quando si presentava alle mense della Caritas lo faceva in modo molto discreto. Difficilmente scambiava qualche parola con gli altri senzatetto. Era solito dormire negli stessi posti, in genere tutt'altro che confortevoli, cercando di dare il minimo fastidio alla gente che passava o abitava da quelle parti. In genere questi poveri clochard muoiono in inverno, quando il clima si fa estremamente rigido. Ma lui è morto in piena estate.




7. ROMA, DUE OSPEDALI


I. (FUORI CORSIA)

"La mattina è volata... pensa, con diciotto malati la mattina è volata, è volata!"
"Pronto, non ti preoccupare, io ti aspetto qui..."
"...E allora ho piantato i pomodori, sì, ora ho delle piante di pomodori."
"Che devo fare? Non lo so... Se si sveglia poi comincia a bestemmiare."
"Signora, scusi, ce l'ha i tramezzini?"
"Non si chiude questa maledetta porta!"
"Quanto manca signorina?" "Due minuti. Comunque grazie per la signorina."
"Mio padre mi ha detto: ma dove vai in quella maniera, mettiti i pantaloni!"
"Ho chiamato, ma ho sentito lo squillo e la musica. Hai presente quando chiami e si sente lo squillo insieme alla musica? Ah ah ah!"
"Va bene, poi ti faccio chiamare da mamma, comunque sta bene, grazie a Dio."
"Domani non ci sono, lavoro al Santa Caterina, ciao a tutti."
"Io sto nella zona nuova, hai presente il centro commerciale? sulla destra c'è una palazzina, lì ci abito io."

*

Queste voci di sconosciuti ascoltavo in attesa che ti operassero. Non ero preoccupato e speravo in un tuo prossimo miglioramento (povero illuso!).




II. (PENSIERO)

Dalla speranza di maggio
all'agonia di agosto:
nemmeno cento giorni
e tu non c'eri più.
Come è potuto accadere?




III. (IN CORSIA)

"Aiutatemi!"
"Io mi sento male!"
"Roberto!" "Carlo!"
E i lamenti non cessano mai
diventando, alla lunga,
una cosa normale
(forse è così l'inferno?).

*

Dovevo subito intuirlo
che quella era la tua ultima dimora...
ma volevo ancora illudermi:
vedere speranze impossibili,
percepire miglioramenti inesistenti,
immaginarti di nuovo a casa con me
(è umano accettare la morte
della persona più cara
che ti rimane nel mondo?).

*

"C'è da sistemare una salma".
Adesso è comparsa in reparto una bara di ferro. Sta davanti alla stanza numero 12.
L'addetto alle pulizie è un ragazzo; dice di essere sconvolto e che è brutto doversi trovare di fronte alla morte
(non sa che qui la morte è di casa?).

*

Cosa subentra nella mente di chi, per lavoro, vive tutti i giorni all'interno di certe corsie ospedaliere?
Probabilmente si diventa come i nazisti e i Kapo dei campi di sterminio ai tempi della Seconda Guerra Mondiale: totalmente disumani e incapaci di qualsiasi comprensione nei confronti di chi sta vivendo un'immane tragedia
(l'essere umano può mutare la sua natura?).

*

Qui c'è chi va,
c'è chi viene...
ma c'è pure chi muore
(Amen).





IX. TRE FRAMMENTI DI UNA DISPERAZIONE CALMA


1.

Ora è il tempo delle cadute.
Ora è il tempo delle solitudini.

Lo specchio riflette un viso morto
che non ha più forza
né speranza.

Gli amici libri e lo schermo provano
a continuare una vita senza scopo.

La mattina è l'inizio del solito giorno
che finisce con la sera. La notte serve per l'oblio.

S'intravedono gli anni del buio,
un buio che diventa sempre più fitto...

A volte provo a pensare di vivere soltanto un incubo:
presto mi sveglierò e sarò tranquillo, rassicurato.
Andrò nella tua camera e ti troverò lì:
ti sveglierò e tu mi dirai, un po' contrariata,
le solite parole...

Ma la vita è un'altra, un'altra è la realtà.
Mi abituerò, mi sto abituando, ma perché...

C'è veramente un perché?




2.

Ho rifiutato di fare, di dare, di ricevere.
Ho rifiutato di vivere.
Non ho voluto mai alzare le vele
e prendere il mare.
Chiuso nel mio guscio,
ho scelto il ruolo dell'escluso.
Per pigrizia, per paura e per orgoglio
non ho preso parte alla vita.
Raccolgo ora quel che ho seminato:
niente.
Viaggio in disparte, seduto su un tram
a cui rimangono poche fermate
per giungere al capolinea.



3.

Se almeno avessi la fede!
Non spero, una volta morto
di rivedere chi mi è stato caro.
Beati coloro che credono in Dio.
Beati coloro che credono che Dio sia buono.
Beati coloro che credono.
Io non ho creduto nemmeno in me stesso,
ho sempre dubitato di qualunque cosa.
Per questo non ho mai amato il rischio
né mi sono mai messo in discussione.
Non mi sono mai buttato da nessuna parte,

purtroppo non mi butterò nemmeno a fiume.





X. RIFLESSIONI E MOMENTI


1

Mi lascio prendere dal sonno
all'improvviso, nelle ore
più strane;
non oppongo
alcuna resistenza (è così dolce l'oblio!)
e, a volte, entro mio malgrado
nel mondo
dei sogni.
Al risveglio
non so più nulla:
mi ritrovo completamente perso
nell'inutile giornata.



2

Devo ringraziare Voi:
Amica Poesia
e Amici Libri,
se oggi, ancora ha un minimo
di senso la mia esistenza.
Senza di Voi
meglio sarebbe per me
morire.
E, spero,
non vogliate abbandonarmi mai,
fino all'ultimo dei miei giorni
(e che, in punto di morte,
mi possano venire in mente dei
versi!).



3

C'è chi dice
che vera poesia
è soltanto quella
più oscura
o comunque
difficile da comprendere.
Non è così:
è vera poesia
quella inesplicabile,
che comunque
sa trasmettere
in chi la legge
con attenzione
qualcosa di grande,
di sconosciuto
e di inesprimibile.
Allo stesso modo
è vera poesia
quella semplice e chiara,
in grado di far nascere
con trite parole
emozioni immense.




4. NESSUNA DONNA

Non ebbi donne
mai con me:
non le cercai
né le cacciai.
Aspettavo, forse,
che qualcuna
mi cadesse dal cielo
(quale cielo non so).
Ci furono un paio
orrende e disperate
che mi volevano,
ma io, atterrito,
non feci un passo
verso di loro.
E gli anni passarono...
Ed ora, quasi vecchio,
penso ancora alla mia
ipotetica favolosa
donna ideale
che non verrà più.




5. DIALOGO IMPOSSIBILE

"Dio, dove sei?
fatti vedere!"
"Come posso
farmi vedere
se non esisto?
Non parlo la tua lingua,
né nessun'altra;
sono stato creato da voi
esseri umani,
che non sapete darvi
una spiegazione
dell'esistenza,
del mondo,
di tutto ciò che è
e che appare
sotto i vostri occhi.
La vostra fantasia
è immensa:
avete addirittura
visto mio figlio...
Colui che visse (forse)
secoli e secoli or sono
certo non era mio figlio,
ma un filantropo
che tentò di amare
come gli era possibile
l'umanità intera.
Ma non vi riuscì
e ben sapete
la sua triste fine.
Voi continuerete
sempre a cercarmi
e perfino a trovarmi.
Scriverete libri e libri
su di me e sulla mia
improbabile esistenza.
Ma io non ero, non sono
né sarò mai raggiungibile,
non vi manderò alcun messaggio,
non emissari, nulla.
Il fatto è che io non ci sono,
purtroppo per voi,
esisto soltanto
nel vostro immaginario."

Nessun'altra parola
si sentì: solamente
una sensazione di vuoto
incolmabile
e un silenzio
pesante.




6. UN VECCHIO SOGNO

Fui ferito a morte
da qualcuno, forse
con un colpo di pistola.
Allora pensai:
"Ecco, ora so cosa si prova
quando si sta per morire".
Ma non riuscivo a morire,
non riuscivo a capire
come si lascia
questo stupido mondo;
facevo, mi pare,
soltanto fatica a respirare...

Allora mi svegliai.




7. EPPURE...

Eppure penso 
che questi ricordi,
queste sensazioni 
così emozionanti
da piangerne,
questa vita lontana 
che ha lasciato
un indelebile segno,
che mi ritorna 
e mi fa lieto
di aver vissuto, 
anche soltanto
quel poco d'esistenza...
Eppure deve avere 
un significato,
una spiegazione 
che non sia solamente
nell'incapacità,
nell'impossibilità 
di analizzare
il cervello umano. 
Io so che molti altri
hanno vissuto 
le stesse emozioni,
hanno rimpianto 
lo stesso periodo
della vita 
e provano 
un'indicibile dolcezza,
un'inspiegabile commozione
nel ricordare.
Eppure i morti:
i nostri cari morti, 
non possono
non devono 
essere scomparsi 
per sempre.
Li devo ritrovare 
anche se
non so dove
né quando
né come.
Voglio credere 
in qualcosa
d'impossibile,
per poter continuare 
a vivere:
voglio 
sperare 

ancora.




8. ASPETTANDO IL NATALE

Ed è già dicembre,
un altro anno è passato già.
E già le persone si preparano
per un nuovo, inutile, pomposo Natale.
Nei prossimi giorni si compreranno oggetti,
si scarteranno pacchetti infiocchettati,
si ascolteranno stridenti parole di auguri:
"Buon Natale, a te e alla tua famiglia!"
E quindi si comincerà a mangiare,
a mangiare e a mangiare:
pranzi e cene,
tavole imbandite, con ogni pietanza:
tortellini, cotolette, panettoni, torroni...
Poi qualcuno andrà in chiesa
per farsi notare
indossando un nuovo abito di lusso.

Noi, che da tanti anni non festeggiamo più,
che da troppi anni non crediamo più,
resteremo soli in casa,
e penseremo ai nostri natali felici,
ai giocattoli nuovi e belli che ci facevano impazzire,
a chi era con noi e ci ha lasciato da tempo.
Forse piangeremo un po' pensando a queste cose,
ma tutto se ne andrà presto,
e si tornerà alla solita vita.

Anche questo Natale passerà.




XI. ALTRE POESIE



LE SETTE FIGURE

E quel giorno - l'ultimo giorno - io vidi avvicinarsi a me sette figure vestite di nero.

La prima figura che giunse davanti ai miei occhi aveva volto infantile e sorrideva; la mia anima, nel guardarla, andò in estasi. Troppo presto passò.

La seconda era indefinibile e mi parlò di mondi impossibili. Io rimasi sconcertato e non seppi pronunciar parola. Anch'essa, velocemente, passò.

La terza era vigorosa e ardente: mi disse che soltanto lei possedeva la felicità. Io non credei alle sue tronfie parole, e glielo confessai. Essa passò delusa.

La quarta era sicura di sé e convincente nei modi e nelle frasi. Ma non mi persuase affatto, malgrado i suoi lunghi discorsi, e la lasciai andar via senza rimpianti.

La quinta era triste, e qualche lacrima le affiorava sul bel viso. Mi piacque e ne divenni amico, ma anch'essa mi lasciò.

La sesta possedeva una calma solidissima, che soltanto la rassegnazione totale può donare; mi confidai con lei, ed essa mi disse ciò che volevo sentire. Poi, mestamente, se ne andò.

E infine venne da me la Settima Figura: la definitiva. La guardai tremando, ma subito me ne innamorai, poiché aveva un volto perfetto. Volle che andassi via con lei, e io non seppi oppormi. Ora sono qui, in questo luogo completamente vuoto, senza tempo e senza vita. Qui non c'è gioia né tristezza; non c'è amore né odio; non c'è Dio né il diavolo.
Ora io sto bene.   




SETTEMBRE

Come sono belle queste tue prime giornate, Settembre! Mi sono tornate alla mente tante altre giornate, trascorse da anni e anni ormai, fatte di albe entusiasmanti, di mattini laboriosi, di pomeriggi lenti e di sere stupende. Ricordo il tempo in cui durante il tuo tempo era facile che aiutassi mio nonno a fare dei lavori nel suo orto, ed erano lavori facili e piacevoli; ricordo la sottile tristezza che subentrava nel mio animo quando, nei tuoi primi dì, pensavo all'imminente riapertura delle scuole. Ricordo le giornate ventose e serene che mi donavi, trascorse sulla spiaggia di Senigallia, e i bagni divertenti con le onde altissime e l'acqua già fredda. Che bel mese è Settembre.
Ricordo pure che in un giorno di metà Settembre mia nonna se ne andò, sperando ancora in una giornata di pioggia che finalmente potesse rinfrescare l'aria. La sua attesa fu vana. A pensarci bene fu fortunata, perché Settembre è il mese migliore per morire.
Già alla fine di agosto si sono susseguiti dei temporali che hanno abbeverato la terra riarsa, le giornate sono più corte e le notti più fresche; l'estate sta per finire, ma sta anche offrendo il meglio di sé, grazie ad un clima ottimo. Cammino lungo una strada deserta, e sento tutto il tuo splendore, mese caro che mi sei sempre stato amico.
Sono tornato a casa ed ho portato con me i tuoi meravigliosi frutti, settembre: uva, fichi, pere e pesche. Presto assaporerò la loro dolcezza, e di nuovo mi torneranno in mente quei tanti giorni del passato in cui tu trascorrevi placido e spensierato, mese che mi hai dato tanto e che amo alla follia. Grazie Settembre, di esistere.



UN ALTRO AUTUNNO

Anima, sta per tornare un altro autunno: prepariamoci a viverlo. Quanti autunni sono già trascorsi, Anima, e quanti altri ancora ne rimangono? Che importa! lasciamolo passare il nostro tempo, ormai non ci preoccupa più nulla del passato, del presente e del futuro... Anima, noi non dobbiamo pensarci. Presto l'aria si farà più fredda, e indosseremo gli abiti della nuova stagione; il cielo sarà più grigio, le giornate più corte, e il sole ci scalderà di meno... sempre di meno. Anima, in quel tempo noi ce ne andremo a passeggiare per le strade di campagna, soprattutto nei giorni soleggiati (com'è gradevole il solicello ottobrino!), e ripenseremo ai nostri vecchi autunni. Cammineremo e cammineremo, finché la stanchezza non ci fermerà; qualche piccolo dolore ci farà capire di avere ormai un'età che non tollera troppi sforzi, e allora, lentamente, con un po' di sconforto prenderemo la strada del ritorno. Tornati a casa, cara Anima, ci affacceremo alla finestra e vedremo tramontare il sole; qualche lacrima farà capolino dai nostri occhi, perché la malinconia, in quei particolari momenti, ci sovrasterà e ci renderà più tristi. Poi arriverà la sera, e mediteremo sulla giornata che si sta concludendo: una in meno da vivere, una in più da aggiungere alla nostra inutile vita. Anima, finalmente giungerà la notte, e potremo riposare pensando, poco prima di addormentarci, al giorno che ci attende: vuoto e inutile come quello appena trascorso. Anima mia, siamo quasi vecchi! è giunto già da un po' il nostro autunno, e l'inverno è a due passi... Ha importanza tutto ciò, mia cara Anima? Cerchiamo comunque il buono del tempo che ci rimane, e non disperiamoci, poiché, Anima, sarà comunque bello rivivere un nuovo autunno, ed osservare gli alberi dei viali spogliarsi a poco a poco. Tu conosci perfettamente la straordinarietà, la magnificenza di questa bellissima stagione: noi ci saremo per amarla, come l'abbiamo amata negli anni che sono già passati. Ottobre lascerà il posto a novembre, ed allora noi potremo ricordare i nostri morti (un numero sconfinato), ancor più nelle giornate piovose e rigide; sarà emozionante, credimi Anima, quando riaffioreranno nella mente tutti i ricordi degli autunni vissuti insieme a loro... Sapessi com'è bello! Poi, anche novembre passerà, e l'autunno avrà i giorni contati. Già nei primi giorni di dicembre, la gente s'immergerà nel nuovo Natale, o meglio il vecchio, grasso, chiassoso e ridondante Natale moderno. E allora, soltanto allora un altro inverno comincerà. Noi, Anima, ci domanderemo se all'arrivo del prossimo autunno saremo ancora qui, su questo stanco pianeta chiamato Terra, o già avremo raggiunto coloro - quanti! - che l'hanno già abbandonato per sempre. Ma ora, Anima mia, abbandona questi tetri pensieri!




IL CONVITO DISERTATO

Era un giorno sereno d'inizio autunno, quando ci siamo incontrati in quel ristorante tu ed io, chissà perché lì, insieme. Poi, una signora ci ha detto di seguirla ed ha aperto una porta indicandoci un pergolato e dicendoci di entrare, di scegliere un tavolo e metterci comodi, in attesa degli altri invitati. E noi così abbiamo fatto tra sorrisi e qualche parola di circostanza. Ma dopo cinque minuti d'inutile attesa, abbiamo cominciato a capire che stava accadendo qualcosa di strano. Quindi, dopo che era passato altro tempo, finalmente ci siamo resi conto che non sarebbe mai giunto nessuno a quel tavolo: gli altri invitati erano tutti morti, non c'erano camerieri in quel ristorante, né cuochi, e la signora che avevamo visto non era altro che un fantasma, una nostra astrazione mentale. Sconcertati, affranti e incapaci di dir qualsiasi parola, siamo rimasti lì, col la testa abbassata, lo sguardo fisso a quel vecchio tavolo. Sono passate le ore, e già cominciava a far sera, mentre noi eravamo ancora lì, come statue. Io e te, muti e tristi, in quel luogo abbandonato, desolato, spettrale... Io e te, chissà perché insieme...




IL VOLTO MALINCONICO

Il volto malinconico è ciò che mi colpisce maggiormente di te; la mancanza del sorriso e lo sguardo che mi trasmette un'infinita tristezza; gli occhi che sembrano trattenere a stento le lacrime. Chi sei? ti vedo, alle volte, mentre ti aggiri per il quartiere insieme al tuo piccolo cane; tieni sempre lo sguardo abbassato, come se ti vergognassi o non volessi parlare con nessuno. E io rispetto questa tua volontà, ma non posso fare a meno di guardarti perché, anche se non sei più giovane hai mantenuto una bellezza particolare, rara, di cui forse neppure tu ti rendi conto. La tua estrema tristezza, la tua timidezza e la malinconia che ti porti dietro hanno fatto sì che m'incuriosissi di te, della tua vita, della tua nobile anima. Non so nulla della tua vita, né del tuo lavoro. Forse sei una maestra e probabilmente non hai figli; forse hai cinquant'anni e quasi sicuramente non hai una relazione sentimentale particolarmente importante. Non sei felice da chissà quanti anni, e magari, come me, rimpiangi il lontano passato dell'infanzia. Vorrei parlarti di tutte queste cose e di altre ancora, ma non oso rivolgerti la parola. Non so, magari la malinconia che affiora dai tuoi occhi, che a volte sembra essere autentica disperazione, è dovuta, tra le altre cose, ad una mancata maternità; so che molte donne hanno sofferto e soffrono per questo motivo, e non c'è nulla che le possa consolare. Forse hai rivolto l'istintivo amore materno verso i bambini della tua classe - ammesso che tu sia una maestra - oppure verso la tua cara bestiolina: l'unico essere che guardi con occhi diversi.
A volte, anzi, spesso, penso che sarebbe meglio non conoscersi più di tanto; perché se potessi approfondire la tua conoscenza, molto probabilmente verrei a sapere cose che potrebbero risultarmi spiacevoli; scoprirei che in realtà, tutte le cose che ho fantasiosamente ipotizzato non hanno alcun fondamento e che tu sei un'altra persona. E allora saresti come una statua preziosa e fragile che cade dal piedistallo e finisce in mille pezzi, perdendo il suo incalcolabile valore; saresti una delle tante, l'ennesima delusione. Ma così come ti vedo, come t'immagino, sei un'opera d'arte unica. Ti ho cercata in un dipinto, ma non ne ho trovato uno che raffigurasse una donna simile a te, se non in modo molto vago. Se ti penso mi vengono in mente certe donne che, probabilmente, non sono mai esistite, se non nella fantasia dei poeti; queste donne, non più giovani ma neppure anziane, aristocratiche, altere, solitarie ed estremamente malinconiche, trascorrevano le loro tristi giornate passeggiando nei viali dei parchi che circondavano le loro immense ville; e passeggiando pensavano ad un passato che promise molto e mantenne nulla; pensavano al loro gramo presente e ad un futuro senza speranza. A stento trattenevano il pianto, ed a ben guardarle, qualche lacrima facilmente scendeva dai loro lucidissimi occhi. Esse avevano avuto un'infanzia felice, e in gioventù, ingenue, avevano bramato e sognato il vero Amore. Ma l'abiezione umana e il cinico destino si erano abbattuti contro di loro, le avevano poste al di fuori della vita, in un limbo fatto di amarezza e di desolazione. Come fossero in esilio, taciturne e apatiche, esse vivevano soltanto di rimpianti e di ricordi. Per me tu, simile a quelle esistenze infelici, sei la Donna del Sogno Infranto, sei la Dama della Santa Tristezza, sei la Regina Inconsolabile del Regno Devastato. Io non so quanti anni hai, conosco a stento la tua voce e non so nemmeno il tuo nome, ma, per quel poco, quel nulla che ho compreso, mi basta il solo pensarti o l'immaginarti per illuminare la mia vita. Sarai per sempre nei miei sogni.
Avrei voluto conoscerti tanti anni fa: avremmo avuto tante cose da dirci, tante passioni da condividere... Chissà, magari avremmo deciso di passare il resto della nostra vita insieme, forse avremmo avuto anche dei figli a cui trasmettere il nostro amore per l'arte... Gli avremmo insegnato le cose che contano più di tutto: il ricordo, l'umiltà, la pazienza, la fantasia e il sogno. Loro avrebbero proseguito la nostra strada, senza mai cercarne delle altre.
Ma tutti questi non sono altro che miraggi, astrazioni, pensieri che volano senza meta. È la solitudine, l'amara solitudine che mi fa scherzi estremamente cattivi. È la disperazione, la terribile disperazione che mi spinge verso territori impercorribili. Eppure in me è nato questo desiderio di sapere qualcosa di te, di conoscerti; forse perché l'uomo non finisce mai di sognare e di sperare, malgrado la vita, malgrado l'età che inesorabile avanza, malgrado tutto... E allora si vagheggiano vite immaginarie, s'ipotizzano situazioni impossibili, incontri e relazioni che non potrebbero mai verificarsi. Si sogna perché non si può far altro che sognare o uccidersi, in una vita avara di felicità, colma di struggimenti.
Però, ripeto, che mi colpisce il tuo volto malinconico, che mi comunica un'affinità, mi induce a supporre che io e te potevamo... potremmo...




IL MIO SILENZIO

Mi guardi e ti aspetti che dica qualcosa d'importante. Forse nemmeno questo ti aspetti da me, forse ti aspetti solamente che io parli e dica anche una frase sciocca, una frase qualsiasi... Ma io non dico niente, non apro bocca, e forse tu ci rimani male. Me ne dispiace. Nella mia inutile vita ho sempre preferito il silenzio a qualsiasi parola. Anche nelle rare occasioni in cui era più opportuno che io dicessi qualcosa, la mia bocca è rimasta serrata, e non so cosa hanno pensato di me i presenti, ma alla fine non me ne importa nulla. Tacere per me è stato il comportamento abituale, l'unico modo di essere me stesso. Anche sforzandomi, non ho mai trovato le parole giuste per aprire bocca, e anche quando pensavo di averle trovate era ormai troppo tardi per dirle, perché qualcun altro aveva preso già la parola. Tacqui fin dall'adolescenza, in innumerevoli situazioni, e forse attirai verso di me una certa antipatia o comunque una sensazione di disagio in chi mi frequentava o si trovava in mia compagnia. Eppure, pur rendendomi conto che il silenzio non mi avrebbe portato alcun beneficio, continuai a tacere sempre e comunque. Ora anche tu, che mi conosci da tanti anni, attendi da me una parola che non verrà mai - dovresti saperlo - che non posso dirti. Infine ti prego: non guardarmi in quel modo, abbi pietà e non aspettarti nulla da me, se non il silenzio: soltanto questo ti posso donare.




LETTERA SCRITTA POCHI GIORNI PRIMA DI NATALE

Amore, mancano ormai pochi giorni all'arrivo del Natale, ed oggi devo confessarti una mia insistente tristezza, che non vuole andarsene malgrado i miei sforzi. E' nata dal pensiero di questa festa che ormai da tempo non ha più alcun significato per me e, credo, nemmeno per te. Ricordi? ieri pomeriggio siamo usciti insieme, e ci siamo incamminati nelle illuminate vie del centro, a guardare le vetrine. Sì, vi erano esposte tante belle cose, circondate dai soliti addobbi natalizi, che a me, adesso, procurano soltanto un certo fastidio. Hai visto quanta gente c'era, che come noi è uscita ed ha calcato le stesse vie, ha osservato le stesse vetrine degli stessi negozi? Però, se allungavi l'occhio all'interno degli esercizi commerciali, notavi pochissime persone; segno evidente che la crisi qui da noi perdura, al di là di ciò che vogliono far credere i giornali o i politici. E anche noi, Amore, ci siamo limitati a guardare dall'esterno queste sfarzose vetrine, e a fare commenti sulla bellezza o sulla convenienza delle merci che vi erano esposte. Poi ci siamo seduti intorno ad un tavolino di un bar, e abbiamo bevuto il nostro caffé; quindi siamo tornati ognuno alla sua casa. Ed ora, che è passato soltanto un giorno dal nostro ultimo incontro, sento il bisogno di scriverti per farti sapere quanto mi manchi, Amore, e quanta tristezza mi dà il pensare alle imminenti feste. Sì, è vero: saremo insieme il giorno di Natale; io fra qualche giorno comprerò un regalo per te e tu farai lo stesso - ma certamente con più entusiasmo e partecipazione -; quindi, il 25 dicembre sarà l'occasione per scambiarsi i doni, abbracciarsi, baciarsi e augurarsi buon Natale. Certo, sarà di nuovo bello, ma fino a un certo punto. Poiché, Amore, sai bene che gli oggetti in quei piccoli pacchi infiocchettati sono le solite, inutili, insignificanti cose che ci regaliamo da anni, e che fra un anno non ricorderemo nemmeno più di esserci regalati; poiché tu sai bene, Amore, che i regali autentici, bellissimi e indimenticabili, li ricevono soltanto i bambini. Eppure, come ti ripeto, saremo lì, a celebrare questo rito che oramai non ha più senso né valore: che santifica solamente il consumismo più sfrenato. Sicuramente tu non penserai al vero significato del Natale, alla festa religiosa; non ci recheremo in chiesa ad assistere alla messa di Natale, e anche se lo facessimo, non proveremmo quell'emozione vera e sincera, che prova soltanto chi possiede una fede. Ma alla fine che c'importa, Amore, noi saremo insieme, ci faremo compagnia e anche questo Natale trascorrerà serenamente, e scomparirà, vicino a te, questa tristezza che oggi mi attanaglia. Poi arriverà il Capodanno, e infine l'Epifania... E allora cominceremo il nostro nuovo anno con ottimismo e speranza. Scriverti queste povere parole mi ha già sollevato: ora avverto di meno la malinconia. Spero che tu le abbia gradite e non ti siano sembrate noiose. A presto, Amore.




LA POESIA E IL POETA

                                                                              Io mi vergogno,
                                                                              sì, mi vergogno d'essere un poeta!
                                                                              (Guido Gozzano)

Perché vergognarsi di amare la poesia? Perché vergognarsi di essere poeti?
Non c'è alcun motivo per farlo, anzi, bisognerebbe essere orgogliosi di essere poeti, poiché la poesia è qualcosa di immenso, di divino: una forma comunicativa essenziale, che esiste da quando è nato il linguaggio e che ci permette di provare emozioni e sensazioni fortissime, così come ci succede ascoltando una musica soave.
Anch'io sono un poeta, ma con la P minuscola. Tutti coloro che hanno scritto almeno un verso nella loro vita sono dei poeti, ma per essere dei veri Poeti, ovvero con la P maiuscola, è necessario che i versi abbiano saputo attrarre migliaia di anime; quest'ultime hanno il potere di creare e immortalare un Poeta.
Il Poeta è un essere che ha delle possibilità incredibili, non presenti nella moltitudine degli altri esseri umani.
Il Poeta guarda un paesaggio, un animale, una pianta, un oggetto, il cielo e anche ciò che non si può vedere, in un modo particolare, anzi... direi eccezionale; è questo che gli permette di descrivere le sue visioni in maniera tale che risultino memorabili, soprattutto per coloro che, leggendo i suoi versi, riescono a percepire la sua elevata capacità di trasmettere stupore, meraviglia, emozione o anche tristezza, compresi i casi in cui si parli di cose semplici.
Il Poeta non può odiare, ma soltanto amare.
Il Poeta ama tutto ciò che è bello, ma anche ciò che non lo è; il Poeta è in grado di trasformare in oro anche il fango, poiché è in grado di descrivere un luogo senza nessuna attrattiva in modo tale da farlo divenire interessante; lo stesso discorso vale se il Poeta descrive una persona, una pianta o un oggetto.
Il Poeta, molto spesso, possiede in sé i più cari ricordi della sua vita, e li sa tramutare in versi; codesti, divenuti poesia, rimangono nella mente di chi legge e li fa suoi, venendo ad assumere un'importanza estrema, ché i bei ricordi degli uomini si somigliano, e quasi sempre hanno a che vedere col periodo più bello dell'esistenza: l'infanzia.
Il Poeta riesce a ricordare le sensazioni che provava quando era un bambino, e le descrive in modo talmente perfetto che queste divengono le sensazioni di tutti noi, bambini invecchiati a cui piace rievocare il nostro migliore tempo.
Il Poeta ama il passato e forse il presente, ma non il futuro. Quando scrive dei versi non pensa mai al domani.
Il Poeta non deve per forza scrivere versi, tanto meno rime; può essere definito Poeta anche chi scrive soltanto in prosa.
Il Poeta non considera la tristezza e la malinconia come fanno in molti; per lui questi sentimenti, da cui scaturiscono emozioni e sensazioni straordinarie, posseggono qualcosa di divino; così, nei versi di tanti Poeti la tristezza e la malinconia predominano su tutti gli altri stati d'animo, divenendo basilari. Sono questi i Poeti che io preferisco, e in cui amo rispecchiarmi.
Il Poeta può parlare con tutti gli esseri viventi del presente e del passato, ma anche con gli animali e le cose.
Il Poeta, come tutti noi, teme la Morte, ma non per questo evita di parlarne, anzi, spesso ci dialoga, come se fosse di fronte a lui.
Purtroppo, come tutti gli esseri umani, anche i Poeti muoiono, ma grazie a Dio non muore la Poesia.
Sbaglia chi dice che la Poesia è morta. Forse un giorno morirà, e forse questo giorno non è molto lontano, ma è certo che la Poesia esiste ancora; le anime che la amano sono di meno, è vero, ma esistono; però, come quegli animali che si stanno estinguendo perché la violenza, l'egoismo e l'indifferenza dell'umanità li stanno distruggendo, è sempre più difficile notarle.
Ma anche nel caso in cui la Poesia dovesse morire, esisterebbe comunque quella del passato, e per coloro che, come me, la amano alla follia, ciò basta e avanza.




IL SONNO

Sonno, sei la parentesi indispensabile nel romanzo assurdo e noioso chiamato Vita. Io ogni notte mi abbandono a te come fa un bambino con la madre che gli viene incontro a braccia aperte. Tu, immancabilmente mi prendi, mi culli e mi porti via da una realtà stanca, ripetitiva e inutile; per questo ti ringrazio, Sonno, che spesso mi consenti anche di sognare dolcemente; mi offri l'unica opportunità di dimenticare, sebbene momentaneamente, tutte le preoccupazioni e i dolori che la Vita mi regala con soddisfazione. Anche stanotte, per l'ennesima volta, ti attenderò... ti prego, non farti desiderare troppo!




IL DOLORE

Io ti maledico ogni volta che arrivi, Dolore, sia quando affliggi la mia carne, sia quando fai la medesima cosa con la mia mente. Tu sei il mio nemico principale, e ti maledirò finché la Vita sarà con me, anche se sono ben consapevole che le mie maledizioni non serviranno a nulla; anche se malgrado esse tu, dopo un intervallo di giorni o di mesi, ti presenterai di nuovo, sadico, maligno e insinuante come sempre, e devasterai il mio corpo e la mia Anima. Ma, Dolore, finora non hai vinto; poiché ogniqualvolta tu sei venuto da me, beffardo e con la solita aria di sfida, io ho atteso con pazienza che tu andassi via, ho resistito alle tue malefatte, crudele Dolore, ed infine ti ho visto allontanare, ancora una volta sconfitto. Forse verrà il giorno in cui non sarò più in grado di sopportarti; allora, solo in quel momento chiederò alla cara Morte di arrivare in fretta, affinché tu possa sparire per sempre dalla mia fragile esistenza, entità immonda chiamata Dolore.




UNA DOLOROSA CONSAPEVOLEZZA

Era una sera invernale: io stavo già disteso sul letto della mia stanza, cercando di prendere sonno; i miei genitori invece, erano nella adiacente sala da pranzo, a guardare la TV. Improvvisamente, non so come né perché, ebbi la prima, chiara, dolorosa consapevolezza della morte. Ero entrato da qualche anno nella fase adolescenziale, e, prima di allora, per quel che ricordo, soltanto un'altra volta pensai alla morte in modo piuttosto serio: a dodici anni, in un giorno d'estate per me bello e felice, quando feci tra me un ragionamento semplice e ingenuo: «Posso morire anche ora o domani, ma comunque devo ritenermi soddisfatto della vita che ho trascorso, poiché sono stato felice». Quella volta invece, il pensiero della morte mi fece sprofondare in un abisso, perché compresi a pieno il suo significato e le conseguenze che avrebbe portato. Infatti, prima di giungere a me, meditai sulla scomparsa dei miei genitori, che allora non erano certo anziani, e che mai fino a quel momento mi ero figurato già deceduti. Provai, quindi, un senso di profondissima solitudine mai percepito in precedenza: il mondo, pensando a quegli eventi luttuosi che prima o poi sarebbero dovuti arrivare, mi sembrò un immenso deserto, ostile come non mai all'amore e alla felicità. Poi la vita continuò più o meno uguale, ma nella mia mente rimane indelebile il ricordo di quei pensieri giunti improvvisamente in una sera qualunque, senza un motivo preciso.




LA MORTE

Morte, tu sei la più temuta, la più evitata, la più maledetta... Ma, Morte, io so che non sei, in fondo, così cattiva come ti descrivono. Fai ciò che va fatto per garantire a tutti la Vita. Però lei, la Vita, certamente è cattiva, ingiusta, avara e difficile. Tu no, Morte, che sei la cosa più giusta di questa nostra inesplicabile esistenza. Tutti alla fine vengono da te, e nessuno ti può scampare; Morte, tu accogli il povero come il ricco, il giovane come il vecchio, il malato e il sano, il cattivo e il buono. Con la tua opera sacrosanta tagli quel che va tagliato, e grazie a te tutto ricomincia, tutto va avanti. Per me, una sola cosa ti chiedo, o Morte: sorprendimi a tradimento, non ti annunciare da lontano. Io non ti temo, ma temo il Dolore, ché solo esso è il mio nemico; tu, Morte, sei buona, e quando sarò con te dimenticherò qualsiasi cosa.




LA VITA

Camminavo controvento e non riuscivo più ad andare avanti. Mi era venuta la voglia di fermarmi e riposare, quando, improvvisamente, la situazione cambiò drasticamente: ora il vento era a mio favore e potevo procedere a passo svelto; ero rinfrancato, anzi, quasi felice e incredulo di ciò che mi era accaduto... Così, Vita, tu ci togli e poi ci dài, e sebbene siano più le cose che ci porti via per sempre, per quel poco che ancora ci offri noi ti amiamo, Vita, perché non possiamo fare altro, perché possiamo anche accontentarci di un niente, se quel niente ci aiuta ad andare avanti. Sì, Vita, io mi accontento: ogni tanto mi regali qualcosa, mi trasmetti dei piccoli segnali, pressoché insignificanti eppure grandiosi; così io continuo la strada che mi indichi, Vita, perché non ne posso fare a meno. E nei momenti futuri in cui, immancabilmente mi toglierai di nuovo delle cose, troverò il coraggio di proseguire il cammino, attendendo che il vento cambi, e che una piccola parte delle cose perdute tornino a me. Grazie, Vita, dei tuoi avari doni.




IL TEMPO

Sordo Tempo, insensibile Tempo, tu cammini sempre e non ti fermi mai, né, ahimè, torni sui tuoi passi. E nel tuo camminare impietoso lasci indietro tutti i piaceri, le gioie e le felicità più intense, che subito dopo divengono ricordi: astrazioni della mente umana e nulla di più; poi, col passare degli anni, anch'essi sbiadiscono, e non rimane più niente. Tu te ne infischi, e prosegui il cammino, e vai e vai, allontanandoti da tutto e da tutti. E noi umani non possiamo fare a meno di seguirti, Tempo senza cuore, sapendo bene che non riusciremo a tenere il tuo passo più di tanto, e che, ognuno di noi, prima o poi dovrà fermarsi, e scomparire. Tu, solamente tu continuerai a camminare, incontrando altre miriadi di esseri, che di nuovo ti seguiranno e di nuovo cadranno dissolvendosi. Però, Tempo ingrato, io non ti odio così come non ti amo; non posso odiarti perché grazie a te scompaiono anche altri momenti della mia povera vita, che mi hanno fatto soffrire atrocemente; quei momenti dolorosi, a mano a mano che tu ti allontani, si attutiscono, fin quasi a svanire, caro Tempo, e per questo ti ringrazio. Ma a te, sordo Tempo, non importa né di questo né di altri fatti, perché ignori qualsiasi cosa, perché il tuo compito è passare e andare avanti... sempre avanti... E allora eccomi: sempre più vecchio, coi primi segni della decadenza fisica, ti vengo dietro, Tempo crudele. Pòrtami in grembo al sonno eterno, che io sappia giungere al limite del precipizio con la calma e la consapevolezza di chi è rassegnato e preparato al peggio, perché, Tempo infame, una misera vita non è nulla rispetto al tuo eterno andare.    




LA MEMORIA

Memoria, tu sei per me essenziale. Tu possiedi le chiavi di tutte le stanze della grande casa del Passato; solo per mezzo di te e grazie a te io vi posso entrare, e ritrovarvi le anime e le cose più preziose della mia già trascorsa vita. Sei tu che mi guidi, m'illumini e mi affianchi quando cammino a ritroso nel Tempo; se tu non ci fossi non potrei muovermi se non in avanti (e che tristezza sarebbe!).
Ma mi accorgo che, col passare degli anni, alcune delle tue inestimabili chiavi non ci sono più: un po' di stanze restano e resteranno chiuse per sempre fino alla fine dei miei giorni. Le hai perse, mia vecchia Memoria, e non puoi più ritrovarle. Ti prego con tutto il cuore, fa in modo che ciò non accada mai più: non posso pensare all'assenza di altre chiavi che mi sono necessarie per poter continuare a vivere; fai più attenzione in futuro e rimani sempre al mio fianco. Se tu mi abbandonassi per me sarebbe certo la fine di tutto, poiché solo grazie a te io ho la possibilità di entrare nella grande casa del Passato, ed è solo e soltanto quello il luogo in cui per me è concepibile l'esistenza. Fuori da lì c'è soltanto deserto e gelo, e infine Morte. 




STANCHEZZA

Si fa sempre più consistente una stanchezza che mi opprime, quasi mi soffoca, ed io non so più cosa fare per proteggermi. È una stanchezza dovuta a tante ragioni.
Stanchezza di fare le medesime azioni, di vivere le medesime giornate.
Stanchezza di ricominciare, al mattino, la solita e inutile vita.
Stanchezza di ascoltare le ripetitive notizie che parlano di crisi economiche, di ottuso razzismo, di odio politico e sociale, di violenze contro le persone più deboli.
Stanchezza di vedere, in TV, nei giornali e sul PC, i volti di certi politici nauseabondi, che predicano l'odio.
Stanchezza d'incontrare persone che mi sono totalmente estranee, a volte ostili, e che farei volentieri a meno di vedere.
Stanchezza di ascoltare discorsi idioti, grossolani, senza una logica, senza una sintassi, vuoti di verità e pieni di rabbia.
Stanchezza di tutti questi razzisti, questi neofascisti, questi neonazisti e di tutti gli altri esseri abietti che continuano ad aumentare giorno dopo giorno.
Stanchezza di ascoltare le solite battute sciocche, volgari, ripetute fino all'esasperazione.
Stanchezza di dover ridere per forza, tanto per far vedere che si è allegri e gioviali, celando ciò che veramente si prova.
Stanchezza di preferire il silenzio alla parola, poiché è impossibile dire ciò che si pensa.
Stanchezza di pensare ad un futuro senza alcuna attrattiva.
Stanchezza di pensare a cosa mangiare, cosa indossare, cosa guardare in TV.
Stanchezza di pensare alla prossima tassa da pagare, alle scadenze imminenti, alla dichiarazione dei redditi, all'automobile e alla casa.
Stanchezza di pensare che sto invecchiando, che sto perdendo giorno dopo giorno le mie energie vitali e che il mio corpo lentamente si sta deteriorando.
Stanchezza di temere le malattie, che sono sempre dietro l'angolo e a volte sono mortali.
Stanchezza di sapere che un mio coetaneo sta male, o è deceduto, e di ricordarlo bambino e amico nei tempi dell'infanzia.
Stanchezza di pensare alla mia morte, a quando e come avverrà, e se dovrò soffrire molto prima di andarmene.
Stanchezza di vivere in questa società che ogni giorno peggiora, mostrandosi sempre più intollerante, cinica e malvagia.
Stanchezza di vivere questa vita inutile.

E allora si fa largo in me la voglia di andare lontano: un'utopia che coltivo dentro di me, che non succederà mai, ma che mi consola.
Voglia di partire per un luogo imprecisato, certamente isolato, dove non giunga nulla di ciò che avviene da queste parti.
Voglia di cercare un altro mondo, un altro pianeta, un posto più tranquillo, dove vivere il resto dei miei giorni in piena pace.
Voglia di paradiso, voglia di Eldorado, voglia di morire anche, piuttosto che continuare a vivere in questo squallido luogo, piuttosto che sopportare ancora questa stanchezza senza rimedio.




C'ERA UNA VOLTA UN PIANETA

C'era una volta un pianeta eccezionale. Questo pianeta non aveva nome, perché nessuno poteva darglielo. La sua eccezionalità risiedeva nel fatto che fosse popolato da esseri viventi: vegetali e animali. Le creature che lo occupavano vivevano secondo leggi non scritte, che comunque, spietate e selvagge che fossero, non compromettevano la presenza della vita su questo luogo dell'universo che non aveva simili. 
Un giorno, sulla faccia del pianeta vivente, fece la comparsa un essere dall'intelligenza superiore, che si definì "Uomo". L'Uomo, a differenza degli altri esseri, poteva parlare, e così diede dei nomi a tutte le cose - animate o inanimate che fossero - del pianeta in cui improvvisamente si trovava a vivere. Ma, purtroppo, non si limitò a chiamare per nome ciò che vedeva intorno a sé; il suo istintivo egoismo lo portò ad utilizzare a suo vantaggio tutto ciò che trovava, animali e piante compresi. Però questo comportamento sciagurato, inizialmente non comportò danni di particolare importanza - se non si considerano importanti le scomparse di alcune specie animali - e il pianeta vivente continuò ad esistere senza particolari problemi. Ma l'Uomo, sempre più ingordo, incapace di accontentarsi e indifferente alla vita degli altri esseri viventi, cominciò, col tempo, a compromettere l'equilibrio naturale e vitale del pianeta; subirono dei danni irreversibili gli elementi essenziali per la vita, che, col tempo, mostrarono in modo evidente un'alterazione tutt'altro che trascurabile; così si presentarono, in modalità sempre più consistenti, eventi climatici, atmosferici, geologici e idrogeologici che mai si erano verificati prima. Ma l'Uomo, incapace di tornare indietro, sempre più vorace e sempre più arrogante, volle ignorare questi allarmanti segnali.
Ora, siamo giunti ad un punto di non ritorno. Probabilmente - se non sicuramente - ogni sforzo per riparare i troppi danni fatti all'ecosistema del pianeta, all'aria, all'acqua e alla terra, è diventato inutile. L'Uomo ha continuato a seguire la strada della dissolutezza e della distruzione, e se ne è altamente fregato delle sue nuove generazioni che, innocenti e inconsapevoli, pagheranno a carissimo prezzo la noncuranza dei loro predecessori. Il pianeta vivente ora è seriamente malato e sta morendo a causa dell'Uomo. L'intelligenza di questo essere "superiore", sulla quale non si può discutere - non ha prevalso nella sua storia. Hanno prevalso invece altri elementi che gli appartengono, e, purtroppo, sono tutti negativi. Non so quando accadrà, ma è certo che per colpa dell'Uomo, questo pianeta eccezionale perderà anzitempo ciò che lo rendeva tale: perderà la Vita.




L'ULTIMA VOLTA CHE T'HO VISTO

Sono entrato nella tua stanza
con un indicibile magone,
con una inesprimibile disperazione.
Mi hai accolto con un sorriso,
mi hai detto che stavi meglio
e che contavi di ritornare come prima
nel giro di pochi giorni.
Faticavi a parlare
e a respirare...
Ti ho detto qualche stupida parola,
ti ho ricambiato il sorriso,
e dopo nemmeno un'ora
ti ho lasciato lì,
alla tua estrema sofferenza.

Dopo due giorni mi dissero
che non eri più. 





RICAPITOLAZIONE

Le radio urlavano "Ti amo"
mentre i telegiornali ripetevano
notizie di attentati e di violenza.
Io vivevo in una campana
di vetro.

Il cielo e il sole mi sorridevano;
le giornate erano felici e avventurose.
Il bel gioco durò poco.

La memoria, disattenta e stanca,
ora fa fatica a ricordare
un passato sempre più remoto.

Il presente è notte buia e fredda
e lunga.

Il futuro è un pozzo troppo profondo.

La Signora Morte è attesa.






MA QUANTE POESIE!

Ma quante poesie!
Poesie sui libri,
poesie sulle riviste,
poesie su internet,
poesie recitate alla radio,
poesie scritte su un muro,
poesie scritte su un foglio a quadretti,
poesie scritte a macchina,
poesie scritte su un giornale di economia,
poesie scritte prima che nascesse Cristo,
poesie scritte appena ieri,
poesie scritte da un bambino di cinque anni,
poesie scritte da un ottuagenario,
poesie scritte piangendo (e una lacrima le ha bagnate),
poesie scritte ridendo a crepapelle,
poesie scritte col cuore,
poesie scritte con qualche altra cosa (che non dico per pudore),
poesie scritte con la penna rossa,
poesie scritte con la penna blu,
poesie scritte con la piuma d'oca,
poesie scritte con un dito macchiato d'inchiostro,
poesie scritte in casa,
poesie scritte in aeroplano,
poesie scritte in tram,
poesie scritte camminando,
poesie scritte sul letto,
poesie felici, che emanano gioia da tutte le lettere,
poesie tristi, che fanno piangere chi le legge,
poesie innamorate,
poesie arrabbiate,
poesie sincere,
poesie false,
poesie lanciate a razzo verso il futuro,
poesie che si voltano indietro,
poesie che urlano, piene zeppe di punti esclamativi,
poesie che parlano sottovoce (che quasi non le senti),
poesie in rima,
poesie in prosa,
poesie in versi liberi,
poesie che parlano della libertà,
poesie che parlano dell'oppressione,
poesie di soldati,
poesie di avvocati,
poesie di attori,
poesie di muratori,
poesie di casalinghe,
poesie di disoccupati,
poesie di carcerati,
poesie di malati,
poesie degli avi,
poesie dei contemporanei,
poesie di chi ancora deve nascere,
poesie, poesie e ancora e sempre poesie...
perché se le poesie non ci sono più
non c'è più vita,
non c'è più amore,
non c'è più cuore,
non c'è più niente di niente:

per te, per me e per tutta la gente.




SPLEEN

Giorno grigio, tetro, ventoso e freddo. La tristezza m'invade e mi rende pigro, più pessimista del solito. Provo a viaggiare con la mente e vedo un viale di un quartiere periferico di una grande città, completamente deserto, col suolo zuppo di pioggia, le panchine fradice e vuote, gli alberi gocciolanti che sembra stiano piangendo dalla tristezza. Il grigiore aumenta sempre più: la tetraggine ha invaso ogni cosa. Ora penso ad una stanza semioscura, dove si veglia un moribondo. Penso ad una chiesa desolata, dove c'è un Cristo crocifisso e sconsolato che malinconicamente gira la testa indietro e chiude gli occhi. Penso ad una casa diroccata, in un luogo deserto e distante, dove un uomo sta seduto sopra un muretto scalcinato con la testa bassa, e piange per la sua povertà, perché non ha più un motivo per rimanere in vita e medita il suo suicidio. Intanto comincia a piovere e l'oscurità si fa più grande. Lo scudo rugginoso si sgretola sotto i colpi tremendi del male; il Cristo, tormentato da mille dolori è quasi giunto in cima al Calvario; gli uccelli che volavano alti nel cielo, sono ormai tutti stramazzati al suolo. È giunta la Fine con il teschio fra le mani.




DEPRESSIONE AUTUNNALE
(IN CINQUE TEMPI RAVVICINATI)

I.
La pioggia scende da giorni ormai... Io mi affaccio alla finestra e guardo il paesaggio grigio, l'acqua che, cadendo, fa un lieve rumore, le strade già allagate, le sparse luci, i rari passanti... Una intensa malinconia s'impossessa di me, ed io non oppongo alcuna resistenza, lasciandomi andare ad un pianto dirotto. Guardo fuori e dentro di me: il grigiore, la desolazione, il triste panorama... Piango ancora, bevo un sorso d'acqua, mi adagio sulla poltrona e provo a dormire. Certamente sognerò, e tu di nuovo mi apparirai: fantasma reale che non dimenticherò. Resterai con me fino alla mia dipartita, ne sono certo, allietando un poco la mia triste vita. Quando mi risveglierò sarà apparso il sole, e la malinconia svanirà di nuovo, come te, cara anima morta che ogni tanto vieni a farmi visita... 

II.
...E piove ancora, e la mia cupa tristezza aumenta a tal punto da diventare disperazione. Ora io guardo ciò che mi circonda in casa e fuori: i vecchi mobili, i soliti libri, il solito paesaggio, la solita vita... e mi chiedo, ancora una volta, se serve continuare a vivere, o, forse, non è meglio scegliere la morte. Perché tutti, intorno a me, hanno questa fame di vita che non mi è mai appartenuta? cosa conta veramente per loro? vivere è veramente così importante? No: per me non lo è... forse lo è stato, ma ora non più. Per questo vorrei uscire dalla mia decrepita casa, proprio in un giorno tetro come questo, e incamminarmi su una strada di campagna che ben conosco. Poi, giunto sul bordo di un fiume, darei un'occhiata intorno a me per vedere se qualcuno mi ha notato; una volta che sarei sicuro di non essere stato visto, mi lancerei immediatamente nelle acque del fiume, e morirei in un tempo brevissimo, soffrendo poco... 
Ma non faccio nulla di tutto ciò, e rimango qui a meditare sulla mia ormai vuota esistenza; a pensare al mio futuro che si è accorciato terribilmente; a ricordare con straziante malinconia le persone care che ho perduto per sempre; a temere le malattie che potrebbero colpirmi; a convincermi in qualche maledetto modo che la mia vita ha ancora importanza, che la mia vita ha un senso... Una volta di più rinuncio: rimando il suicidio e accendo la TV, quindi mi siedo e leggo qualcosa che possa consolarmi (i miei cari poeti!). Vado avanti, per ora.

III.
 Questo cielo grigio e questa scarsa luce già dalla mattina accentuano in me un senso di disperazione che non mi dà scampo. Penso alla malattia che di nuovo imperversa, alla pioggia che ancora cadrà in abbondanza, ai miei soliti giorni di lavoro e ad altre tristi cose che mi suscitano soltanto un acuto desiderio di morire. All'alba di un nuovo disperato giorno, partirò senza avvisare alcuno, prenderò un treno che mi porti lontano lontano, vivrò gli ultimi miei giorni in un albergo qualsiasi, sperduto nella periferia di chissà quale città... Poi, una sera, guarderò dalla finestra il vuoto che c'è tra me e la strada, paragonandolo al vuoto interiore, immenso, che c'è tra me e la vita; allora sarà facile lasciarmi andare a quel vuoto: un volo di pochi secondi metterà il sigillo a questa mia stupida esistenza e amen.

IV.
Ah questa pioggia che cade senza tregua, continuamente! questo cielo sempre più grigio e la luce del sole che scompare per non ritornare mai più...
Piangi, piangi la tua infinita malinconia, urla e gemi, la tua sofferenza sfoga e batti i pugni: nessuno può aiutarti, nessuno consolarti, perché sei solo al mondo e chi ti amava non c'è più. 
Pensa, pensa ancora a chi ti ha assistito, chi ti ha detto una buona parola quando eri disperato, chi ti ha amato quando tu non amavi che te stesso... È inutile: ora c'è il deserto intorno a te, e tu stesso lo hai creato.
Infine muori, cuore mio, smetti una volta per tutte di battere, taci, taci!
«Non lamentarti più, stanca anima mia: vai subito all'ultimo piano della tua decrepita casa, sali sul tetto e infine gettati, senza esitare un momento!»
Il resto è silenzio.

V.
È un mattino di una giornata d'ottobre grigia, fredda, umida... la pioggia cade lenta e infinita da un cielo completamente chiuso, e sopra la mia malnata anima mi sembra che cadano fitte gocce di veleno, che la uccidono a poco a poco. Ed io desidero la morte: la cara, sola amica che mi possa aiutare a concludere questa esistenza che si prolunga senza un solo motivo valido. Fuori dalla vita, fuori dagli uomini, fuori dai giochi e fuori da un mondo sempre più cattivo e ingordo, che mangia e distrugge tutto ciò che può, le uniche mie consolazioni sono i ricordi del passato e il pianto. Da molti anni ho perduto anche la fede, e quando prego un essere soprannaturale a cui non credo, lo supplico soltanto di farmi morire al più presto, così come sono morte tutte le anime care, che mi volevano bene e a cui volevo bene, e che in questa vuota esistenza non rivedrò mai più. Io sono come un treno che viaggi su un binario morto di una ferrovia che sembra non abbia mai fine, ma che pure dovrà terminare. Il mio è un viaggio inutile, triste, vuoto di qualunque emozione o gioia, e si prolunga ancora facendomi soltanto soffrire di più...




ROBOT

Ora il mio sogno 
è diventare un robot.
Avere un cuore e un cervello
di metallo,
non avere anima,
non provare emozioni, piaceri o dispiaceri:
eseguire soltanto ordini e programmi.
Sì, adesso l'unico mio desiderio impossibile
è essere un robot di ultima
generazione;
e come tale
essere utile a qualcuno
o ad una comunità.
E finito il mio compito,
esaurito lo scopo per cui sono stato
creato,
essere riciclato come 
un qualunque materiale scartato e gettato
nella spazzatura.




IL PANTOFOLAIO
 
Dura è la vita del pantofolaio quando, costretto da eventi non rimandabili, deve lasciare la propria amata dimora ed uscire, con tutti i rischi che ciò gli comporta.
Di umore nero, rassegnato, il pantofolaio si mette le scarpe, indossa il soprabito e si avvia verso la porta, già pensando al momento in cui, finalmente, potrà ritornare nella sua tana.
Quando è fuori, il pantofolaio conta le ore o i minuti che mancano al ritorno: tutto ciò che fa, lo fa controvoglia e nulla gli importa di qualsiasi fatto stia accadendo in quel momento: conta soltanto l'ora del ritorno a casa.
E finalmente il pantofolaio è a due passi dalla sua abitazione; eccolo che si accinge ad aprire la porta, e i suoi pensieri sono lievi, il suo stato d'animo è più che buono, la sua salute migliora.
Ora il pantofolaio si è già tolto scarpe e soprabito, ha indossato pantofole e vestaglia e si è disteso sul divano. La TV è già accesa, come il PC, e il pantofolaio è tranquillo come non mai, perché ha ritrovato il suo habitat intatto.
Unico cruccio del pantofolaio, adesso, è il pensiero fastidioso, che ogni tanto fa capolino, del momento in cui dovrà di nuovo abbandonare il suo alloggio.
Ma il pantofolaio si consola, sapendo che ci sarà sempre un ritorno, e che quando ciò accadrà, avrà di nuovo a disposizione tutto quello di cui ha bisogno per ricadere in un limbo nel quale vorrebbe vivere fino alla fine dei suoi giorni.




SE È VERO

Se è vero che il mondo 
sta morendo lentamente.

Se è vero che l'umanità
è sempre meno umana.

Se è vero che la nostra vita
oggi ha un valore irrisorio.

Se è vero che il passato
non conta più nulla.

Se è vero che il potere
spesso va in mani sbagliate.

Se è vero che i poveri
sono sempre più poveri.

Se è vero che l'idiozia
vale più di qualunque cosa.

Se è vero che non trovi
un motivo per essere fiducioso.

Se è vero tutto ciò
ed altro ancora...

Adesso dimmi: 
dove stiamo andando?
e perché continuare?





MOMENTO

Può bastare poco a mutare una situazione che appariva tragica.
È bastata una giornata di primavera, quando ancora il calendario avverte che l'inverno non è terminato, per farmi apparire il mondo più bello.
Sì: i miei occhi, influenzati dai caldi raggi del sole, dopo tanta pioggia e tanto gelo, hanno osservato la realtà in modo diverso, e tutto sembrava migliore.
Sembrava che non ci fosse più il male, che i morti non fossero altro che un incubo già svanito, e che il presente ed il futuro si prospettassero in maniera assai entusiastica.
Il cielo era azzurro, e all'orizzonte, in lontananza, apparivano poche nuvolette; la città era un luogo tranquillo e ideale; l'umanità sorrideva felice.
Non c'era odio, né malattia e nemmeno violenza: tutto volgeva al bene, soltanto al bene.
Il sogno era divenuto realtà, il paradiso era sceso sulla terra: vivere era un'esperienza meravigliosa...
Per pochi istanti ho ritrovato gli occhi della mia fanciullezza, quando era sufficiente un prato tutto verde, il sole, il cielo azzurro e un paio di amici per possedere la felicità.




UN'ANTICA BAMBINA

La tua voce e le tue più usate parole sono di una bambina.
I tuoi gesti, il tuo modo di camminare e di correre, sono di una bambina.
I tuoi pensieri (che riveli quasi timorosamente) e i tuoi desideri sono di una bambina.
La tua spontanea tendenza alla commozione così come il tuo pianto - che facilmente ti sovrasta - sembrano quelli di una bambina.
Il tuo esile corpo, la tua pettinatura, le tue mani (il tutto già segnato dal peso degli anni) ricordano il corpo, la pettinatura e le mani di una bambina invecchiata.
Malgrado il tempo, malgrado i tanti dolori e gl'innumerevoli dispiaceri; malgrado la volgarità, malgrado l'abiezione e la cattiveria che hai dovuto sopportare negli anni a causa di esseri abominevoli (che hai dovuto frequentare); malgrado tutto il male che una vita umana può conoscere, sei riuscita a mantenere la tua anima di bambina.
La tua strenua e disarmante difesa è stata soltanto questa: cercare di rimanere una bambina.
E ora, che ti avvicini alla vecchiaia, continui ad essere tale:
tu sei un'antica bambina ostinata, e abbandonerai la tua santa fanciullezza soltanto di fronte alla morte. 




MIO VOLTO

Mio volto riflesso nello specchio,
segnato dal tempo e dal dolore.
Mostri la devastazione delle sofferenze, dei tormenti,
delle disperazioni e della rassegnazione.
Pesano su di te le perdite e la solitudine,
la fatica ed i travagli interiori.
Ti guardo e mi appari nella realtà più cruda,
ma non per questo smetto di osservarti,
non camuffo in alcun modo la verità:
tu rappresenti me stesso,
con tutta la schiettezza
e tutta la purezza
della mia anima.




POCO PRIMA DI FERRAGOSTO

Poco prima di Ferragosto,
una sera che si preannuncia
calda, immobile, inutile...
Un anno ancora se ne va,
senza lasciare traccia di sé,
se non per scempi e paure.
Poco prima di Ferragosto,
un altro giorno da dimenticare.




STANCA ESTATE

Stanca estate,
sporca estate:
sbrigati ad andartene
nell'immondezzaio dei giorni passati:
il tuo fuoco nemico mi ha ormai
sfibrato, mi ha ridotto ad un nulla che si muove.
Sono lontani anni luce
i tempi in cui ti amavo 
e ti attendevo ansioso,
emozionato, fantasticando chissà
quali avventure...
Ora non sei altro 
che una stagione lunga e inutile;
il tuo caldo tempo è privo di sogni,
è avaro di avvenimenti:
tu ora sei vecchia come me,
estate balorda, 
e sarebbe meglio se tu ed io
scomparissimo al più presto.





FRAMMENTO (DOPO LA TRAGEDIA)

...Dopo interminabili minuti di silenzio, trascorsi in quella stanza semioscura nella quasi totale immobilità, io mi alzai e mi diressi verso la finestra. Spostai la tendina e vidi che continuava a piovere. L'acqua che s'infrangeva sul vetro, scendeva velocemente in tanti rigagnoli verso il davanzale; a me parevano tante e tante lacrime, simili a quelle che avevo pianto per giorni interi. Poi mi voltai e ti guardai: eri lì, seduta sulla poltrona, immobile. Intuii che ancora stavi piangendo, ma non vidi - a causa dell'oscurità - le copiose lacrime che solcavano il tuo bel viso. Tornai a guardare di fuori: la pioggia cadeva più intensamente. In quel momento desiderai che si verificasse un secondo diluvio universale: identico a quello a cui scampò solamente la famiglia di colui che camminava con Dio. Non ricordo un momento simile in tutta al mia vita, in cui bramai così intensamente la morte. 




COSA C'È DI PIÙ BELLO

- Sai dirmi cosa c'è più bello del viaggiare?
- Il ritornare.
- Dimmi ancora, cosa c'è più bello dell'amore?
- La pace dei sensi.
- E, dimmi, cosa c'è più bello del dormire?
- Il morire.




LA MORTE DELL'ESTATE

Intorno a noi moriva l'estate...
Ma era una morte dolce:
il sole splendeva,
gli alberi erano immobili,
gli uccelli cantavano,
le persone passavano tranquille
sulle strade.

Ma l'estate moriva comunque,
e le nostre anime, come la bella stagione
si sentivano mancare...

Non sapevamo più cosa dirci:
le nostre bocche erano mute,
camminavamo soltanto...

Ascoltavo i monotoni passi sul selciato,
così come il canto lieto degli uccelli...
Mi sentivo svuotato, finto...

Faceva ancora caldo, ma dentro di noi
sentivamo il freddo intenso
degli addii definitivi.

Quando giungemmo alla stazione
ci stringemmo le mani,
poi ti vidi sempre più lontana
dirigerti verso la ferrovia...
 
Non potevo sapere che era l'ultima volta.




VERSIBUS NEGLECTA SUNT

Poeti dimenticati
o mai presi in considerazione,
amici cari che non conobbi mai
perché vissuti in tempi lontani:
ho trascritto da vecchie pagine ingiallite
tante e tante poesie
che scriveste col vostro sangue,
che pensaste col vostro grande cuore.
Voi ora non lo sapete,
ma qualcosa è rimasto in vita
dei vostri versi ignorati
o scordati per sempre
da tutti gli umani.
Io come voi ho scritto inutili poesie,
probabilmente brutte,
sicuramente puerili.
Ma i miei versi non si trovano,
come i vostri,
nell'angolo di una pagina
di vecchissime riviste
vissute neppure un anno;
e nemmeno su qualche volumetto ingiallito,
logoro, scompaginato,
che ancora, in qualche modo,
qualcuno ha voglia di leggere.
I miei poveri versi,
così come quelli di altri poeti inutili
dei miei tempi,
si trovano nell'aria
o in qualche quaderno
che ho riposto per sempre. 



IO?

Io?
Chi sono io?
So che mi hanno dato un nome ed un cognome,
che sono nato,
che ho vissuto (o non vissuto)
per oltre mezzo secolo;
sono consapevole della mia fragilità,
sono conscio della possibilità
di morire oggi stesso
o fra decine di anni;
so pure che non resterà alcuna traccia
della mia esistenza.
A mala pena ho compreso
e tutt'ora fatico a comprendere
i miei simili.
Non comprenderò mai tutta la violenza,
la rabbia e la stupidità
che mi circondano.
Penso infine che quando scomparirò
tornerò nel nulla da cui provenivo
prima della mia nascita.




ACCANTO ALLA STUFA

Accanto alla stufa,
ascolto e guardo la televisione
mentre parla di nuovi allarmi,
di ulteriori pericoli e possibili,
ripetute tragedie.
Ogni tanto osservo, alla mia destra,
il gatto che dorme sulla sedia;
la sua tranquillità e il suo disinteresse
mi confortano.
Intanto la luce scema:
è quasi sera.
Un'altra settimana è trascorsa.
Domani è domenica.




DOLCE MALINCONIA

Dolce malinconia,
cara amica mia
che sempre ritorni 
e mi consoli:
senza di te cosa sarebbe
la vita mia?
un inutile susseguirsi
di giorni e di giorni,
di andate e ritorni,
di cose inutili,
di luoghi tristi,
di cattivi pensieri.
Ma tu sei con me:
oggi come domani,
e come lo eri
ieri e l'altr'ieri;
tu, seppure ogni tanto
voli via e ti allontani,
fai sempre ritorno
nel mio tetro soggiorno;
a te non spaventa
la mia lugubre dimora;
neppure la mia anima grigia,
infelice, decrepita...
Sei la sola che ritrovo
e di ciò ti ringrazio
e ti canto...
o mia cara, dolce, infinita
malinconia.




UN PICCOLO PARADISO

Soltanto davanti
alle vostre parole scritte
posso ancora ritrovarmi,
posso ancora trovare conforto,
dolcezza e amore.

È grazie ai vostri versi
che ancora riesco a sognare,
a rivedere i volti giovani
di mia madre e di mio padre,
a ritrovare i miei pensieri
più puri e più veri.

Voi sapete ancora dare
un senso alla mia inutile
vita, sapete ancora 
emozionarmi, a volte
stupirmi e altre volte
estasiarmi.

Solo in vostra compagnia
dimentico tutto 
del mondo atroce che mi circonda:
la volgarità, la rabbia, l'odio
e corpi senz'anima che fanno
parte del resto della mia vita.

Che io possa ancora ritrovarmi
ora e nei prossimi giorni,
e in tutti quelli che mi restano
da vivere, con voi, in voi...

Che io possa vivere soltanto di
sogni e di poesia.




SOGNO DEL RICHIAMO DISPERATO

Ancora lo posso udire
perfettamente
l'urlo disperato
della creatura
che mi supplica
affinché io non l'abbandoni.
Mi prega, cerca di convincermi,
vuole che io
mi prenda cura di lei.
Ma io mi allontano,
la lascio piangere
insensibile e spietato;
non mi commuove
quel richiamo straziante,
quella acuta richiesta
che in sé contiene
la sofferenza più atroce
della solitudine più nera.
Io mi allontano,
e la voce si fa sempre più fievole
fino a scomparire.

Ora io so di essere
un miserabile
senza cuore
né anima. 





CARA SOLITUDINE...

Cara Solitudine, oggi non ti temo più. Eppure, se ripenso al terrore che avevo di te, da bambino così come nell'età adulta, mi domando come si sia verificato questo inatteso mutamento nella mia anima. Ora tu sei la mia migliore amica: colei che sola sa accogliermi, e a cui torno sempre, le volte infinite in cui mi ritrovo, per necessità, circondato da esseri umani cui non ho nulla da dire, né da dare. Sei soltanto tu, oggi, la mia compagna reale e fedele; lo sarai per tutto il resto della mia povera vita. Non posso dire d'amarti, ma troppo spesso ti cerco e a volte t'invoco. Non dialogo con te, non ti vedo, pure avverto la tua presenza: impalpabile, silenziosa e ultraterrena. Cara Solitudine, io ora appartengo soltanto a te, di te vivo e soltanto te agogno. Rimarremo insieme sino alla fine dei miei giorni. 





MI SONO SVEGLIATO DA POCHI MINUTI...

Mi son svegliato da pochi minuti, ho aperto i miei poveri occhi ed ho osservato gli oggetti che mi circondavano, all'interno della mia stanza (il sole già entrava attraverso le tapparelle della serranda). Mi sono chiesto che senso avesse il televisore, l'armadio, la sveglia, i tanti libri che ho comperato da trent'anni a questa parte, e perfino la foto di te giovane e bella, che a mala pena scorgevo sulla libreria. Mi sono chiesto che senso avesse la giornata che mi accingevo a trascorrere, così come la passata e la seguente: fastidiosa al pensiero e faticosa. Mi sono chiesto che senso avesse tutta la mia esistenza: durata già oltre il mezzo secolo, così come quella di tutta l'umanità, che ha sempre continuato a farsi del male senza un vero perché. Mi sono chiesto che senso hanno le impossibili speranze, così come le ingiustificate motivazioni, che mi convincono, e mi sospingono, e mi inducono a continuare un assurdo cammino.
Ah, potessi chiudere il conto! Ah, trovassi il coraggio per farlo!
Invece non mi faccio più domande, non penso più a niente: abbasso gli occhi e ricomincio a camminare lungo una strada - la mia strada - sempre più stretta, che non porterà a nulla.
Mi fermerò soltanto quando essa terminerà.





CARISSIMO, INUTILE OGGETTO...

Carissimo, inutile oggetto che mi stai da tanto e tanto tempo nel cuore, e che ora perdi smalto, perdi i pezzi... io ti vedo logoro e stanco come me, come la mia triste anima di oggi.
Eppure ti ricordo, nuovo, smagliante, grandioso, bellissimo. Ti acquistai con un entusiasmo indescrivibile, ti guardai e riguardai con emozione, ti collocai al centro della mia stanza ed avevi per me un'importanza spropositata, un valore immenso...
Passarono gli anni, e ti vidi invecchiare lentamente; entravo nella stanza, ti guardavo e già non suscitavi più quell'entusiasmo iniziale che era devastante per me; però ti tenevo ancora lì, in ricordo di quel tempo favoloso in cui ti vidi per la prima volta, e ti portai con me, a far parte della mia vita grama. In quel periodo, ahimè, già così lontano, eri il faro lucente nella notte senza stelle e senza luna; eri l'unico raggio di sole che filtra in mezzo alle nuvole nere di una giornata uggiosa; eri il solo, splendente fiore che spunta nel deserto più grande della terra. Ora mi appari come qualcosa di inane, di frusto... non susciti nulla in me, tranne una sottile tristezza, nel vederti così cambiato in peggio.
Ma non ti getterò nei rifiuti, seppure in qualche momento di disperazione abbia pensato di farlo: nonostante tutto, ti terrò con me fino alla fine dei miei giorni, che saranno anche i tuoi ultimi giorni. Siamo invecchiati insieme, caro mio, e il vederti distrattamente ogni giorno ha fatto sì che io mi affezionassi fortemente, che la tua presenza divenisse preziosa e necessaria per me. Se ti gettassi, continuerei a guardare quel punto in cui da allora ti ho posto, e dentro di me sentirei un senso di vuoto che ho già provato per l'assenza non di cose, ma di anime, la cui importanza era ben più consistente della tua. Mi rimani tu, vecchio oggetto che lentamente muori, e il guardarti mi aiuta a comprendere la lenta fine di ogni cosa bella che incontriamo lungo il nostro cammino. La vita è una perdita costante, quasi impercettibile eppure inesorabile, di tutte le nostre piccole e grandi felicità, di tutti i nostri piccoli e grandi amori. Così sia. 




PARLANDO AD UN LEPISMA

Finalmente ti rivedo, piccolo lepisma! Da quanto tempo non percorrevi spaventato, il pavimento della mia vecchia casa! Ricordo che, tantissimi anni or sono, eri quasi il padrone, qui da me. Io allora non ti amavo, anzi, ti detestavo, e ti uccidevo subito dopo averti intercettato in qualche angolo della stanza. Ora, invece, tu sei il benvenuto. Ti guardo con tenerezza, vecchio lepisma, e penso a tutti gli insetti, piccoli e grandi, che ho osservato negl'infiniti anni in cui ho vissuto in questa decrepita abitazione. Ce n'erano di invadenti, di fastidiosi, di orribili e di utili... Ogni tanto ritornano a visitarmi, ma, tranne qualcuno, io faccio di tutto per annientarli, per farli sparire al più presto. Non lo farò più con te, caro lepisma; ogni volta che ti vedrò - e penso accadrà di rado - ti lascerò vivere; la mia casa diverrà la tua casa. Una cosa soltanto ti chiedo: risparmia i miei amati volumi, poiché mi stanno particolarmente a cuore e senza di essi, oggi, non potrei sopravvivere. 




RINGRAZIAMENTI

Se, qualche volta, mi succede di sentirmi ancora vivo, lo devo soltanto a voi.
Un pomeriggio tiepido, autunnale, trascorso insieme a voi.
Provare sensazioni già provate; rivivere in un mondo scomparso da troppi anni; vedere cose già viste, che allietano gli occhi stanchi.
Sentirsi di nuovo parte di una famiglia; percepire la schiettezza e il calore umano che appartengono a tempi seppelliti dagli anni.
Camminare insieme a voi per le strade affollate, guardare le vetrine, entrare nei negozi...
Tornare per essere di nuovo accolto nella vostra casa; constatare una volta di più che la vostra generosità e il vostro affetto non vengono mai meno.
Grazie. 




CAMMINATORI INDEFESSI

E camminiamo, camminiamo lungo questo nostro percorso che gli uomini chiamano "vita". Dapprima camminiamo con l'impressione che la strada sia infinita (all'orizzonte non si riesce a vedere nulla), poi ci rendiamo conto che non è così: intravediamo la sua fine. Però continuiamo a camminare fiduciosi, ottimisti, convinti che lungo il percorso ci saranno delle liete sorprese... In verità sappiamo - ma non vogliamo confessarlo - che non ci sarà nulla di buono laggiù, dove la strada si fa più stretta, dove si dovranno affrontare delle dure salite e dove il buio piano piano aumenta e si fa fitto... Eppure noi camminiamo, e c'illudiamo che la strada sia sempre piena di luce, larga, spianata... Poi, improvvisamente, ci accorgiamo che restano pochi metri da percorrere prima di un burrone,  e che non possiamo più fermarci, né, tanto meno, ritornare indietro... E allora andiamo avanti, poiché non possiamo fare altro, e quello che ci aspetta non ha importanza (non ci deve fare paura), poiché non aveva alcuna importanza neppure il percorso che abbiamo fatto, tanto somiglia ad una scia bianca - simile a quella che vidi per la prima volta da bambino - lasciata in cielo da un velivolo e destinata a scomparire nel giro di qualche minuto.




LA VOCE

...E la Voce, mentre il giorno già declinava, si andava assottigliando. Molti, pur udendola, la avevano ignorata; altri la stettero ad ascoltare un poco, ma poi, annoiati, si allontanarono; altri ancora fecero maggiore attenzione alle parole dette, ma le dimenticarono non appena andarono altrove. C'era ancora della gente che riusciva a sentirla, seppure in modo assai debole, quando scese la sera. A notte non la udì più nessuno. Eppure la Voce ancora parlava... 




ARDI ANCORA, PICCOLO FUOCO

Ardi ancora, piccolo fuoco,
di vivere non devi cessare
perché ancora un poco
io mi vorrei scaldare.

Guardo la fiamma del focolare che m'ipnotizza; la fisso e non vedo altro nella stanza illuminata da quel suo intenso colore, da quel suo immenso calore. E la mente vola, va in altri mondi, veri o immaginari che siano. Ora sono un bambino che vede, la sera della vigilia di Natale, tanti pacchi infiocchettati sotto l'albero addobbato; la maggior parte di quei regali sono per me! E allora io comincio a scartarli, emozionato, felice, quasi pazzo di gioia, scoprendo che in quelle scatole ci sono i miei giocattoli preferiti: quelli che volevo da quando li avevo visti dietro una vetrina, forse poche settimane prima... Ora sono miei! Ma come farò a giocare con tutti? Non è certo questo il problema che mi pongo, basta che i miei genitori mi lascino giocare fino a quando lo voglio...
Il sogno è svanito, sono tornato in me stesso, al mio odierno squallore, e rivedo davanti ai miei poveri occhi la fiamma che sta lentamente morendo. Velocemente aggiungo legna a questo debole fuoco, e in breve tempo vedo quella fiamma agonizzante ritornare di nuovo vigorosa. Ora posso di nuovo tornare a sognare...

Ardi ancora, piccolo fuoco,
di vivere non devi cessare
perché ancora un poco
io mi vorrei scaldare.

Ora sto davanti alla finestra della mia vecchia casa; è sera, e fa freddo, perché è cominciato da qualche giorno l'inverno. Che sorpresa! sta iniziando a nevicare. Mio padre però, guardando attentamente fuori dai vetri, mi avverte che non si tratta di neve, ma di nevischio. Peccato! ma poco m'importa, a me piace quella specie di neve che cade, perché finora non ho mai visto una nevicata. Sempre mio padre, mi dice che sono arrivati i nonni, indicando col dito due anziani che escono da un'automobile. Io ora sono felice, perché i nonni vengono da molto lontano per stare insieme a noi durante le feste di Natale. Quindi corro verso la porta d'ingresso per vederli entrare e finalmente salutarli...
Anche questo sogno è svanito, torno alla triste realtà e mi sovvengo che, di nuovo, il fuoco del camino langue; scaravento altra legna nel focolare e lo rianimo. Dài, fuoco, scaldami l'anima e il corpo, fa che io possa ancora sognare, te ne prego, almeno tu non mi abbandonare!

Ardi ancora, piccolo fuoco,
di vivere non devi cessare
perché ancora un poco
io mi vorrei scaldare...

Ed io continuo a sognare, e i sogni si susseguono: uno più bello dell'altro; ma durano poco, svanendo non appena il fuoco si affievolisce. Poca legna mi è rimasta per alimentarlo ancora: fra non molto dovrò rinunciare ai miei sogni. Però ora non voglio pensarci: voglio godermi questo calore fino all'ultima brace...

Ardi ancora, piccolo fuoco,
di vivere non devi cessare
perché ancora un poco
io mi vorrei scaldare...




VAGHI RICORDI

Vaghi ricordi
che affiorano all'improvviso
chissà come e perché,
quando riappaiono
immagini sbiadite,
ritratti sfocati
e annebbiati,
cartoline confuse
di persone e luoghi
conosciuti troppi anni or sono.

Quella ragazza, per esempio,
che mi guardava e mi sorrideva,
e a cui io sorridevo
(poteva nascere qualcosa fra noi?)
mentre ero a Roma
per chissà quale motivo...
E l'altra, con cui parlai
per delle ore,
ed era come se ci conoscessimo
da una vita
(ma di lei non seppi più nulla
dopo quel giorno).
Oppure quel parco
così colorato che sembrava
un autentico paradiso terrestre...
E quella casa
accogliente, spaziosa,
resa ancor più bella
dal sole che penetrava in tutte le stanze,
e da quel piccolo gatto, 
che correva su e giù per le scale...

Ma queste persone e questi luoghi
esistono ancora?
Forse sì, ma poco o nulla rimane
di ciò che erano;
quei volti, così giovani e così puri,
ora, se ancora esistono, sono pieni di rughe,
di segni del tempo trascorso.
Quei luoghi, dovunque si trovino,
stenterei, ora, a riconoscerli,
tanto sono mutati.

Poco resta
dei vaghi ricordi
che raramente riaffiorano,
e che rimandano immagini
di fantasmi,
di mondi perduti,
soltanto per acuire
la disperazione che provoca
la consapevolezza
del tempo che se ne va,
né mai ritornerà.




ATTENDO LA PRIMAVERA

Attendo la primavera.

Ogni giorno il freddo si fa più intenso; il gelo, la mattina presto, invade ogni cosa, e anche la mia anima non è altro che un pezzo di ghiaccio.

Attendo la primavera.

Ogni giorno c'è un bollettino di guerra, in cui aumentano i morti ed i feriti; questa maledetta guerra appare infinita e più che mai devastante. 

Attendo la primavera.

Mi sento in bilico, senza alcuna sicurezza; sperare? e in cosa si può sperare? io non so...

Attendo la primavera.

Se esiste ancora una speranza, è che questo inverno finisca al più presto, e l'arrivo della primavera porti buone notizie; una piccola rinascita dopo tanto dolore e tanta morte: questo è possibile sperare oggi, soltanto questo...

...e io attendo la primavera.




DESIDERIO DI SONNO

Vorrei trascorrere il resto
dei miei giorni
soltanto dormendo
(a parte piccole pause per mangiare,
bere e leggere
qualche bella poesia).
Rimanere in letargo
fino a quando, dolcemente,
giungerebbe la morte,
cogliendomi
nel più profondo sonno.




MAGGIO

Maggio: mese in cui
la primavera comincia
a fare un passo indietro
per lasciar posto
alla solenne estate,
che ora è soltanto
una troppo calda stagione.
Maggio: mese delle rose
e della Madonna.
Mezzo secolo or sono
c'era un piccolo studente 
che durante il quinto mese dell'anno 
recitava l'Ave Maria
contando i grani 
del rosario
avuto in dono dalla suora
che era anche la sua maestra.
Ma era sempre distratto, perché
dalla finestra dell'aula
osservava felice 
le care rondini
che già, in gran quantità,
volavano nel cielo.
Emozionato, pensava già
all'estate ormai vicina
e alle imminenti vacanze.




UN VUOTO

Nella mia vita
c'è stato un periodo
lungo decenni,
di cui oggi non so niente:
come se fossi
stato da me assente.
È un lungo tunnel
completamente buio,
un vuoto abissale,
un buco nero,
una mancanza colossale.
Se provo a ricordare
qualcosa di me e dei giorni
di allora,
nulla di nulla
riaffiora.
È un letargo mentale,
una inconscia intenzione
di dimenticare tutto:
il bello 
e il brutto.




UNA PASSEGGIATA

Una lunga passeggiata
mattutina
sul lungomare di Ostia.
Camminare tranquillo, sereno,
senza drammi e senza cattivi pensieri:
pacificato con tutto.
Guardare, al di là dei muri, 
il mare calmo, e la spiaggia
affollata (com'è di rito
all'inizio di un'estate
romana, che si annuncia assai 
rovente).

Penso:
l'umanità ora ha bisogno
di uscire, di vivere,
di evadere da un mondo
che si è rinchiuso 
per troppo tempo.

Io vado, e mi ritrovo
nella calma del mare,
nell'assenza di vento
e nella tepidità dell'aria,
respirando a pieni polmoni
e trovando una piccola consolazione
nella parentesi di una passeggiata
in un mattino di prim'estate.




POESIA ALLA FIGLIA

Ti ho visto nascere e Dio solo sa
l'immensa emozione che ho provato:
la felicità di essere tuo padre
nessuno può comprenderla,
nessuno misurarla.

L'emozione di vederti 
muovere i primi passi,
di sentirmi chiamare "papà",
è qualcosa che non so
descrivere,
tanto è stata grande
e bella.

Ti ho poi visto 
anno dopo anno crescere:
ti ho aiutato e seguito 
lungo il difficile cammino
della vita.
E sono ancora qui,
pronto a proteggerti 
per qualsiasi pericolo che dovrai affrontare,
pronto a risponderti
a qualsiasi domanda che mi farai,
pronto a darti la mia mano
e a guidarti per tutto il resto
della mia vita.

Il bene che ti voglio 
non potrei spiegartelo,
non posso dirtelo 
con queste poche e povere parole:
è un bene che va oltre,
che deborda e s'innalza,
che non morirà mai.




LA TV ACCESA

Mi è tornato in mente
un garbato e discreto signore
che aveva circa sessant'anni,
e che divideva una stanza
al reparto "oncologia"
dell'ospedale San Filippo Neri
con mio padre.

Una volta ero in visita
dal mio genitore,
e si parlava di televisione;
questo signore disse
che quando era in casa
teneva acceso il televisore 
quasi sempre;
ma a lui non importava
il canale, né la trasmissione:
era l'unico modo
per ascoltare delle voci,
per vedere delle persone,
e così attenuare
il profondo, insopportabile
senso di solitudine
che lo attanagliava.




PIANTI SERALI

Quasi ogni sera
io guardo, ascolto e leggo
qualcosa che mi tocca,
che mi emoziona a tal punto
da farmi piangere.

Così, quasi ogni sera 
le lacrime scendono dai miei occhi
puntuali, copiose...

In questi momenti
la mia anima trova un conforto,
pur nella consapevolezza
di una sotterranea
disperazione.

I miei pianti
che puntualmente
si ripropongono 
nelle prime ore serali
sono la sostanza
del mio presente,
del mio sognato amore
e della mia
cronica malinconia.




BOMBE

Bombe di fuoco,
bombe d'acqua
e tanti altri tipi
di bombe
ci cadono addosso
da tutte le parti
del cielo.

E noi, inermi,
subiamo queste piogge
terrificanti,
desiderando con forza
di essere altrove.

Ma non abbiamo che
questa devastata terra
dove vivere
e dove morire
una sola volta.




IL RUMORE DEL TEMPO

Tic-toc,
e il tempo passa...

Spesso mi volto indietro
e, sempre, scopro
un vuoto immenso...
Che ne ho fatto
di tutta la mia vita?
Non so, soltanto vedo
che sprofondo sempre di più
nel nulla.
E capisco che è inutile
farsi ancora delle domande
sul senso dell'esistenza.
Essa altro non è
che un arido percorso
verso il buio assoluto.

E allora, vivo ancora 
ascoltando solamente
il rumore del tempo che passa
scandito da un orologio a muro:
tic-toc...




PERDERE TEMPO

"Scusami se ti faccio 
perdere tempo..."
Spesso mi è stato detto
da chi evidentemente
non mi conosceva bene.

Io da tanti e tanti anni
in verità non faccio altro
che perdere tempo.

Ieri, oggi e domani
ho perso, perdo e 
perderò tempo,
perché è l'unica cosa
che so, che voglio, 
che mi piace fare.




SABATO SERA

Sabato sera.
L'uomo è solo,
ma non è triste...
Ha l'opportunità
di riposarsi,
di rimanere nella sua tana
per più di un giorno,
coi suoi libri:
gli unici amici
che ha.




DIRITTO ALL'OBLIO

In questo spudorato
pullulare di narcisisti,
esibizionisti, pragmatici
conquistatori di popolo,
propinatori di vuote immagini
e di vuote parole,
non posso che ammirare voi
che avete soltanto
voglia di scomparire,
di dileguarvi per sempre
e di non esser stati mai
protagonisti
degli scémpi in cui
sguazza la trista umanità
dei nostri tristi tempi.




HO CONOSCIUTO SOLTANTO

Nella mia vita
ho conosciuto soltanto
uomini e donne
che temevano, che temono
la morte
più di ogni altra cosa.
Chi fa scongiuri per allontanarla,
chi non ne vuole parlare,
chi si augura che arrivi
il più tardi possibile.
Io per me spero solamente
che, il giorno in cui
venissi a sapere del suo
imminente arrivo:
domani o non so quando,
non faccia nulla per evitarla
(sarebbe inutile),
ma gli vada incontro,
come si fa con i buoni amici,
e possa, sereno, abbracciarla
per l'eternità.




In quella stella lontana lontana (la vedi appena, laggiù, in fondo all'universo...) vorrei andarmene per sempre. Sì, vorrei volare via da questo pazzo mondo, e fare un lungo viaggio sulle spalle di un angelo, che mi porti proprio in quella stella così distante che la sua luce si percepisce appena. Lì, certo, ricomincerei una nuova vita, dimenticandomi di questa. Lì potrei fare tante cose che non ho mai fatto; lì conoscerei anime belle che non ho mai conosciuto; lì, finalmente, potrei vivere con gioia e con amore. Cosa rimango a fare qui, in questo pianeta ormai invivibile, che ha imboccato da tempo la strada dell'autodistruzione? Unica soluzione a tanta devastazione e tanta guerra, è un lungo viaggio verso una nuova terra. Per ora, in quella stella tanto lontana che sembra non ci sia, posso andarci soltanto con la fantasia, ma un giorno chissà...




Caro lettore, cosa risponderesti se io ti chiedessi cos'è la poesia? Magari mi diresti che è una forma d'arte, oppure che è una tecnica di scrittura, o ancora, una serie di belle parole messe in colonna... Tutto giusto, ma sicuramente io ho un concetto diverso di poesia. Per me la poesia è tutto; è ciò che mi rende ancora la vita vivibile; è l'unico mezzo grazie al quale mi è possibile credere nell'umanità, e forse anche in Dio. Ma, se è vero che la maggior parte della poesia si trova nei versi scritti, penso - come tanti altri d'altronde - che essa si trovi anche altrove: in diverse discipline artistiche (musica, pittura, cinema, fotografia), nella vita che facciamo, nelle persone e negli altri esseri viventi che incontriamo... La poesia ha tante forme, ed è possibile individuarla facilmente, perché la nostra anima, ogni qual volta si trovi a vivere particolari situazioni, a provare determinate emozioni, riesce a percepirla grazie ad un benessere mentale (e forse anche fisico) che proprio lei ci procura. Bellissimo sarebbe vivere soltanto di poesia, ma ovviamente non è possibile; occorre quindi, accontentarsi, cercare e trovare la poesia quando è possibile, ringraziandola ogni volta per averci permesso d'incontrarla. Come disse qualcuno di cui non ricordo il nome: Non saprei dirti cos'è la poesia, ma certamente è qualcosa di cui non potremmo fare senza. 




Ora che sta per terminare l'ennesima, lunga e vuota giornata di sole;
ora che la stagione estiva sembra un'anziana signora stanca, incurvata e triste;
ora che il sabato va a chiudersi lentamente, regalando ai poveri umani ancora un poco del suo calore;
ora che tu - già lo so - non hai mantenuto la promessa di chiamarmi (e forse lo farai domani scusandoti di non averlo fatto oggi);
ora che io posso abbandonarmi, una volta di più, alle mie malinconie ed ai miei pianti serali;
ora che non so più cosa dire, né cosa fare per concludere questo mio monologo disperato;
ora, dico, è giunto il momento di tacere.




Con questi miei poveri,
stupidi versi, io mi provo
di dire qualcosa che sento,
che mi preme esternare.
Lettore,
se per caso tu
t'imbattessi nelle mie
poche parole,
abbi pietà di me:
sono soltanto l'ennesimo
uomo che tenta,
con tutti i suoi limiti,
di essere un poeta.
Poeta!
che bello sarebbe
poter dire a tutti
di esserlo veramente,
e non vergognarsene...
Anche oggi che l'arte poetica
conta come una piccolissima
formica
da tutti calpestata.




SOLO

Solo
quando bambino
avvolto dal buio della notte,
nella mia piccola stanza
tremavo dalla paura,
e volevo qualcuno accanto
che mi proteggesse.

Solo
adolescente introverso,
me ne andavo a scuola
coi miei libri nella cartella,
lo sguardo corrucciato,
gli occhi bassi
e un mondo tutto mio,
da proteggere.

Solo 
giovane chiuso in se stesso,
trascorrevo le giornate
in casa, a leggere,
a guardare la tv
e a immaginare
una vita che mai vissi.

Solo
a lavorare sodo,
in strade assolate,
tra gente ostile,
finché era l'ora del ritorno:
finalmente mi avviavo
verso la mia casa
stanco anche di vivere.

Solo
quando comprenderò
che la morte sta per cogliermi,
e pur soffrendo atrocemente,
mi avvierò con coraggio
verso la fine di un'esistenza
inutile.




STANCO MIO CUORE

Stanco mio cuore
che batti ancora e ancora...
Basterebbe che tu ti fermassi
mentre io, inconsapevole,
stia sognando qualcosa di meraviglioso;
basterebbe che tu decida
d'interrompere il tuo lungo, incessante
lavoro, dentro di me,
che non ambisco più a nulla,
che procedo indifferente
lungo un percorso vuoto,
vano, piatto...

Stanco mio cuore,
se potessi parlarti, e convincerti
a cessare improvvisamente
il tuo martellante battito
dentro un corpo ormai vecchio,
allora io, finalmente
potrei raggiungere
chi non c'è più.




MASCHERINE

Ora tutti mi dicono
che non servono più a nulla...
Forse è vero o forse no,
ma, certo, ne ho così tante!
Che me ne faccio adesso
di tutte queste mascherine?
Non lo so ancora,
ma sicuramente qualcuna
la terrò con me,
riposta in un cassetto,
come ricordo
di un incubo ad occhi aperti
vissuto da poco,
da poco terminato (fino a quando?)





LE COSE DEL VECCHIO NATALE

L'abete che cominciava a perdere i suoi aghi il giorno dopo che era stato collocato nel salone, e, dopo le feste, finiva sempre nell'orto di mio nonno dove si seccava nel giro di pochi mesi.

I mandarini e i pezzettini di cotone che mia nonna usava per ornare l'albero di Natale.

I pacchi e i pacchetti in gran quantità che riempivano il pavimento nei pressi dell'albero di Natale la sera della vigilia.

La letterina con le solite paroline che mi faceva scrivere la suora, a scuola, e che dovevo consegnare la sera della vigilia di Natale ai miei genitori.

Decine di soldatini che mi ritrovavo dopo che avevo scartato i pacchi con i doni per me, che, bambino, diventavo pazzo per la felicità e ci giocavo fino a tarda notte.

La sfoglia della pasta fatta in casa che, poco prima della preparazione dei cappelletti, veniva collocata su una tovaglia, sopra il lettone dei miei nonni.

Il capitone che a me non piaceva, e che comunque si sarebbe mangiato quasi per intero il nonno, il quale non vi avrebbe mai rinunciato e pretendeva fosse a tavola il giorno di Natale.

La tombola con i fagioli che servivano per coprire, sulle cartelle, i numeri che erano già stati estratti dal sacchetto.

Le carte napoletane con cui i miei parenti amavano giocare a "Bestia" (a me ed a mio padre non piaceva partecipare).

Il crocifisso di gesso situato sulla sinistra, all'interno della piccola chiesa della mia frazione (lo guardavo con pena, pensando alla fine che avrebbe fatto Gesù), che ritrovavo sempre, le poche volte che mio padre mi convinceva ad andare a messa, la sera del giorno di Natale.

I panettoni bruciacchiati e insipidi che faceva mia nonna ogni anno (non riusciva mai a farli bene).

I bigliettini di carta da disegno che mi divertivo a fare coi pennarelli, che avrebbero contenuto i nomi dei destinatari dei regali e quelli dei donatori (i parenti me li richiedevano entusiasti, forse perché in quel modo avrebbero risparmiato i soldi per comperarli). 




HO SOGNATO LA PRIMAVERA

Ho sognato la Primavera ed era bellissima, coi suoi fiori e il suo clima mite, e il sole e le rondini in cielo...
Poi c'è stato il brusco risveglio, nel buio.
Ho spalancato la finestra della mia stanza, ed ho guardato il grigio invernale di un mattino piovoso (malinconia devastante!)...
Il freddo è immediatamente penetrato dentro di me, e allora non ho esitato a richiudere i vetri.
Ora sono qui, seduto, davanti ad una piccola stufa, provandomi di nuovo a sognare la Primavera.





LE MIE POESIE PUERILI

Le mie poesie puerili
non pretendono molto;
esse non possono attrarre
i dotti, le persone colte
che vanno a caccia
di ricercatezze,
di parole difficili e rare.
I miei versi
sono facili e a volte stupidi.
Ma a me basta
che una sola anima
semplice, 
leggendoli chissà come e
chissà dove,
possa considerarli
un poco.





WELTANSCHAUUNG

La vita è assurda,
inutile, insignificante;
e pensare, immaginare 
o inventare un Dio
è soltanto un modo
per consolarsi,
per non vedere la realtà.
La realtà che
non dà scampo:
che ogni giorno
ci pone davanti agli occhi
l'assurdità, l'inutilità,
l'insignificanza della vita
di qualsiasi essere
di questo pianeta
o di qualunque altro
perso
nell'immensità dell'universo.




GATTI

11 febbraio 1985,
23 aprile 2024:
con la presente
poesia, scritta
nell'ultima data
di cui sopra,
dico addio
con rassegnata tristezza
ai due migliori amici
che ho avuto
in questa vita arida.
Se ne sono andati
per sempre
due cari animaletti
che per poco
o per tanto tempo
hanno portato
in un'esistenza 
grama,
allegria e calore;
con la loro
indomabile vitalità
hanno riempito
una solitudine senza scampo
che ora non ha più 
confini.




FINE